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Andrea Malaguti per "la Stampa"
Nel quartier generale di News Corporation, a Wapping, da un anno a questa parte le mail interne difficilmente portano buone notizie. Da quando Rupert Murdoch ha deciso di porre fine ai 168 anni di storia di News of the World sperando di seppellire lo scandalo delle intercettazioni telefoniche, ogni volta che appare il logo dei messaggi circolari i giornalisti del «Times», del «Sunday Times», del «Sun» e del «Sun on Sunday» sentono che il cuore comincia a creparsi. Sono le nostre teste che stanno per rotolare? Anche le rassicurazioni suonano come condanne a morte.
Così quando Tom Mockridge, amministratore delegato del ramo britannico dell'impero mediatico dello Squalo, ha spiegato che le dimissioni del Grande Capo dal board dei suoi giornali inglesi e da quelli di oltre una decina di società negli Usa, in Australia e in India, erano il banale e trascurabile riflesso della volontà di dividere la società in due compagnie - una per libri e giornali, l'altra per film e televisioni -, in molti si sono convinti che il conto alla rovescia fosse iniziato. «Fine corsa. Disoccupazione vicina». Timori ripresi dall'agenzia di stampa Reuters: «Le dimissioni sono destinate a rilanciare le speculazioni sulla vendita dei giornali». Inutili le smentite del gruppo.
Che Murdoch abbia vissuto il travaglio di questi mesi come una malattia degenerativa è fuori discussione. Restano due domande a cui rispondere: la sua presa di distanza è una fuga o una scelta strategica? E sarà in grado questo indistruttibile barone di 81 anni con un patrimonio personale di 8,3 miliardi di dollari di gestire la parabola discendente senza farsi umiliare?
Secondo l'analista Claire Enders «l'addio a Fleet Street fa parte di una lenta dissolvenza di Rupert e James Murdoch dal panorama inglese destinata a diventare permanente». E per il laburista Tom Watson, «i suoi collaboratori devono sentire nelle radici l'odore del tradimento». Da divinità a giuda. Il futuro non è certo amico.
Dal 1969, anno dell'acquisto di News of the World, politici e uomini di potere hanno trasversalmente fatto la fila davanti alla porta di Murdoch. A cui, soprattutto con l'acquisto del Times nel 1981 e col lancio di Sky nel 1989, è sempre stato concesso uno status da imperatore romano. Il suo pollice alzato - o verso - ha significato per decenni la vita e la morte per migliaia di carriere. Nei consigli di amministrazione e nelle eleganti sale da pranzo apparecchiate nei castelli o in silenziose dimore di campagna il posto a capotavola è sempre stato suo.
D'altra parte, come titola una sua recente biografia, è sempre stato Murdoch «L'Uomo che possiede le Notizie». Harry Evans, ex direttore del Sunday Times, ha raccontato che il tycoon chiarì il suo stile pochi giorni dopo l'acquisto del giornale. «Istruisco i direttori in ogni angolo del mondo. Perché non dovrei farlo a Londra?». Leadership, deregulation, tasse leggere per i ricchi.
Queste le sue coordinate. La Thatcher e Major hanno goduto dei suoi favori. Ma anche Blair, nel 1995, fece un pellegrinaggio in Australia per chiederne l'alleanza. L'ottenne. Piers Morgan, ex editore del Mirror, regala questo aneddoto. «Blair mi disse: è meglio cavalcare la tigre piuttosto che farsi azzannare alla gola».
Murdoch ha sempre fatto paura. Brown prima l'ha blandito, quindi, sentendosi scaricato, l'ha attaccato frontalmente. E Cameron non ha mai fatto mistero dei suoi rapporti stretti con la famiglia del Grande Capo. Un circolo soffocante che non ha risparmiato primi ministri, parlamentari, polizia e sistema giudiziario. Finché è esploso lo scandalo delle intercettazioni telefoniche.
Carl Bernstein, paragonando la bufera inglese al Watergate, il 29 settembre del 2011 disse: «Murdoch ha rotto la compattezza civile raggiungendo un certo livello di controllo su istituzioni fondamentali di una società libera. Detesto i paralleli con il Watergate. Ma stavolta sono reali».
La pressione per l'australiano è diventata quasi insostenibile la scorsa settimana, quando 18 azionisti gli hanno chiesto con una lettera di lasciare la guida di News Corporation, indicando in Chase Carey il suo successore ideale. Facile capire perché Murdoch viva la presenza dei giornali londinesi come una zavorra. L'hanno compromesso. Claire Enders sostiene però che non sarà lui a scaricare l'Inghilterra, ma l'Inghilterra a scaricare lui: «Non è più utile in termini di influenza».
Diversa la posizione dell'esperto di media Steve Hewlett, che dopo avere ricordato che il 90% dei 4,2 miliardi incassati da NewsCorp deriva da film e televisioni, ha spiegato: «Le dimissioni non sono sorprendenti considerato l'andamento del mercato», insinuando così l'idea che non saremmo di fronte alla parabola finale di Murdoch, ma a quella della carta stampata. D'altra parte la scrittura un tempo era un impegno morale. Ma ora è come se la sua fondamentale sconvenienza non riguardasse più nessuno. Tanto meno lo Squalo.
RUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZArupert murdoch 50Rupert Murdoch e il figlio JamesJAMES E RUPERT MURDOCHMOCKRIDGE news of the worldMARGARETH THATCHER AL PARCOblair tony
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