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NAPOLITANO NESSUNA PROROGA AL MIO MANDATO
IL QUIRINALE DOPO L'IPOTESI DI PERA IN CASO DI ASSEMBLEA COSTITUENTE: VIA NEL MAGGIO 2013
Dino Martirano per il "Corriere della Sera"
E ora i partiti iniziano a fare seriamente i conti con il fattore tempo perché, da qui alla fine della legislatura, mancano solo «sei mesi utili» per portare a casa la riforma costituzionale e la legge elettorale. Il primo a battere un colpo è stato il Quirinale che - dopo tante indiscrezioni di segno opposto - ha fatto filtrare «il fermo intendimento» del presidente della Repubblica «di considerare conclusa, alla scadenza del mandato nel maggio 2013, la sua esperienza al Quirinale».
Questo Giorgio Napolitano lo ha detto chiaramente lo scorso 21 giugno al senatore Marcello Pera che era salito al Colle per illustrargli la sua proposta di legge per l'elezione di una assemblea costituente e per l'eventuale proroga del settennato del capo dello Stato.
Se dunque il calendario è quello previsto dalla Costituzione vigente, le nuove Camere dovranno essere pronte (con i presidenti eletti) almeno con un mese d'anticipo rispetto alla scadenza del settennato che cade il 15 maggio 2013. E questo significa, secondo un calcolo messo a punto dal deputato Pino Pisicchio (Api), «collocare la prima seduta di Camera e Senato non oltre i primi giorni di aprile».
Così, per un effetto domino a ritroso, le elezioni politiche non dovrebbero andare oltre la metà di marzo: «E siccome la campagna elettorale dura al minimo 45 giorni, lo scioglimento dell'attuale Parlamento avverrebbe entro gennaio».
Ecco perché i «mesi utili» sono solo sei al netto delle ferie e della settimana parlamentare, che ormai dura tre giorni. In questo clima, con il conto alla rovescia ormai nella fase finale, Silvio Berlusconi ha ribadito ai big del Pdl riuniti a palazzo Grazioli per l'ennesimo vertice notturno «l'assoluta necessità di varare una nuova legge elettorale».
E anche Pier Luigi Bersani ha fretta di concretizzare un accordo elettorale con gli altri partiti prima dell'assemblea nazionale del Pd, prevista per metà luglio, in cui si deciderà sulle primarie. Ma è pur vero che il «porcellum» fu varato in extremis, a dicembre 2005.
Eppure nel Pdl si confrontano ancora due scuole di pensiero: «La sovranità popolare deve essere esercitata con le preferenze, il cittadino deve poter scegliere e non accettare passivamente i candidati paracadutati dal partito», dice Ignazio La Russa che su questo tema vede «molti punti di convergenza con il Pd» e spera di superare le resistenze «che permangono nel Pdl».
Resistenze rilanciate da Peppino Calderisi ed Enrico La Loggia, che bocciano anche il modello «provincellum» (collegi uninominali proporzionali): «Con le preferenze avremmo un aumento esponenziale dei costi della politica con tutte le conseguenti degenerazioni a partire dal voto di scambio». Ma La Russa non ci sta: «Ci vuole la preferenza. E poi nella lista il 33% dei nomi non deve essere di iscritti al partito».
Sulla carta, dunque, l'accordo più probabile può essere ancora raggiunto sul modello tedesco (50% uninominale, 50% proporzionale con sbarramento al 5%) che si adatta a due scenari: legge senza premio di maggioranza se i deputati rimangono 630, legge con un premio del 10% (da stabilire se di partito o di coalizione) se passa la riduzione a 508 prevista dalla riforma costituzionale.
Il Parlamento, tuttavia, rischia l'intasamento: oltre ai 13 decreti da convertire, arriva alla Camera nella I Commissione in sede legislativa la riforma bipartisan del segreto di Stato, secondo la quale il governo dovrà riferire nel merito almeno al presidente e al vicepresidente del Copasir, che avrà funzioni di controllo anche sul Ris (l'intelligence della Difesa).
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