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DAGOANALISI
L’aver trasformato l’elezione diretta dei sindaci in una sorta di paradossale derby calcistico sta provocando effetti devastanti sulle stesse istituzioni amministrative e sconcerto tra le fila degli elettori che di fronte al caos organizzato dai partiti in primavera potrebbero disertare in massa le urne.
Così, nell’Italietta di Pittibimbo, con le forze politiche ridotte ormai a piccoli clan in lotta tra di loro, sta accadendo pure che la battaglia per il voto comunale della prossima primavera si preannunci come uno spettacolo a dir poco surreale. Per restare nella metafora pallonara, la scelta dei candidati sindaci, con o senza primarie taroccate, vede le due tifoserie (politiche) parteggiare più per gli avversari che per la loro squadra del cuore. Incredibile, ma vero!
Già. E’ come se in una stracittadina Roma-Lazio, entrambe sostenute da irriducibili aficionado, capitasse all’improvviso che la curva Sud, notoriamente di fede ultra-giallorossa, s’infiammi per i “nemici” biancocelesti raccolti nel settore Nord dello stadio Olimpico. Fino ad augurarsi che segnino un goal nella porta amica. Che in pratica si tratterebbe delle più beffarde e atroci delle autoreti…
Prendiamo Milano. L’esempio compiuto di quanto sta accadendo sotto i campanili per effetto delle candidature a dispetto (a prescindere, direbbe Totò). Giuseppe Sala sarebbe un ottimo capitano azzurro per guidare il team del centro destra. Al contrario, il Pippone formato Expo vuole correre a tutti i costi - sponsorizzato dal “giglio tragico” romano e dai poteri forti meneghini -, nel campo avverso una volta amministrato dal suo ex patron Berlusconi. Convinto il nostro, che schierato dall’altra parte della “sua” barricata andrebbe incontro a una sicura sconfitta. Il che, ovviamente, non garba a chi si considera un vincente.
L’ex numero uno della fiera-flop di Rho-Pero, infatti, è un po’ figlioccio dell’ex sindaco Letizia Moratti, che lo volle a capo della sua segreteria quando occupò a palazzo Marino. Ma il suo nome, guarda a volte il caso, fu suggerito a Donna Mestizia dal gran consigliore dela Cavaliere, Bruno Ermolli. E non è tutto.
michelle obama con agnese renzi maurizio martina emma bonino giuseppe sala a milano
Sala ha un passato da manager alla Pirelli-Telecom e, secondo i suoi stessi proclami, “non ha nulla a che vedere” (o spartire) né con il Pd né con il centro sinistra. Forse sono queste le ragioni sul perché nel centro sinistra Sala piaccia soltanto al ducetto di Rignano sull’Arno. E tra i difetti dell’italiano medio, osservava Ennio Flaiano, c’è quello di amare soprattutto i furbi e i bugiardi. Del resto non è un mistero, che Renzi ha gusti (politici) affini a quelli dell’ex Cavaliere di Arcore. E ha in testa soltanto quel Partito della nazione che, molto probabilmente, lo porterà in futuro a sicura rovina.
Il Pippone formato Expo, invece, piace molto meno al sindaco uscente Giuliano Pisapia (ex Rifondazione comunista), che l’altra volta sconfisse la Moratti col suo squadrone arancione. E dopo aver battuto alle primarie, con il 45,3% dei consensi, il rivale Stefano Boeri (40,16%). La sua candidatura prese poi corpo ben sei mesi prima della chiamata alle urne degli elettori. Nel Pd del cazzaro Renzi, invece, soltanto l’altro giorno si è decisa la data della chiamata dei militanti ai gazebo: 7 febbraio.
Nell’attesa di conoscerne l’esito, molti ricordano quando alle primarie nazionali dell’anno successivo (2012) al primo turno a Milano ci fu la corsa dei forzisti e della destra moderata, il cosiddetto soccorso nero-azzurro, a portare suffragi al rottamatore-piacione Renzi. Ma nel ballottaggio fu poi sonoramente battuto da Bersani per la leadership del Pd.
In attesa di un probabile bis con tarocco, con tanto di aiutino delle truppe cammellate azzurre alle annunciate primarie, la prossima stracittadina tra Pippone Sala e il vice sindaco uscente, Francesca Balzani (data favorita), si annuncia allora come una corsa ad handicap per il Pd.
E nel gioco alla rovescia delle candidature, anche l’ex manager Corrado Passera con la sua Italia Unica (e tale resterà anche dopo il voto) avrebbe potuto essere un jolly prezioso giocabile per Berlusconi. Invece l’ex Cavaliere è costretto dai leghisti di Salvini a sfornare sondaggi su personaggi di scarsissimo appeal nel centro destra. E non sa ancora quando il suo partito uscirà dalla Sala di rianimazione.
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