DELL’UTRI: NON È LUI CHE SCAPPA, MA LA GIUSTIZIA

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Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Hanno avuto ragione, i difensori di Marcello Dell'Utri, a suggerire al loro assistito di farsi vedere dai giudici alla lettura della sentenza. Perché la sua presenza in aula al momento della nuova condanna per mafia è uno dei motivi che hanno convinto la Corte d'Appello di Palermo a negare la richiesta di arresto dell'ex senatore.

«Va escluso il pericolo di fuga in relazione al comportamento dell'imputato che ha partecipato alle udienze dibattimentali, compresa quella odierna - hanno scritto i magistrati nel provvedimento di rigetto -, e non ha mai mostrato di volersi sottrarre all'esecuzione della pena». Tanto più ora che non ha più l'immunità parlamentare a proteggerlo, e dunque ben poteva temere l'arresto. Il sostituto procuratore generale riteneva (e probabilmente ritiene ancora, sebbene non abbia ancora deciso se rivolgersi o meno al tribunale del riesame) il contrario.

Ricordando, con tanto di note redatte dalla questura di Milano, i viaggi all'estero di Dell'Utri in Spagna e Centro America alla vigilia del verdetto della Cassazione che un anno fa poteva spalancargli le porte della galera. Quel che probabilmente tentò nel 2012 potrebbe rifare adesso, in vista del nuovo giudizio definitivo previsto, a occhio e croce, per l'inizio del prossimo anno. Perciò il rappresentante dell'accusa suggeriva la carcerazione preventiva. Ma i giudici hanno risposto no.

«Si tratta di notizie imprecise e generiche, apprese dalla polizia da fonti confidenziali - ha replicato la Corte d'Appello -, che non dimostrano la volontà di un allontanamento definitivo». Ma il pubblico ministero aveva sottolineato anche un altro motivo per arrestare l'ex senatore: la possibile reiterazione del reato di concorso in associazione mafiosa, giacché dal suo punto di vista Marcello Dell'Utri non ha mai smesso di essere legato a Cosa nostra.

Anche questo argomento, però, è stato respinto dai tre giudici che hanno condannato l'imputato. L'ultima condotta dimostrativa di colpevolezza, hanno scritto, risale al 1992, come stabilito dalla Cassazione nel precedente verdetto. E il fatto che a partire da quella data non siano emerse «condotte penalmente rilevanti o rapporti significativi» con esponenti mafiosi, «costituisce elemento concreto per escludere la sussistenza dell'esigenza cautelare».

Infine, dopo due giudizi di appello sostanzialmente conformi, non c'è pericolo di «inquinamento probatorio». Così, nonostante la terza condanna di fila, l'imputato Dell'Utri resta libero. In attesa di quella definitiva o - come lui chiederà e si augura - di un nuovo annullamento.

Oppure della prescrizione, che scatterà comunque nel 2014.
La decisione sottoscritta dai tre giudici della Corte d'Appello Raimondo Loforti, Daniela Troja e Mario Conte è arrivata già nella serata di lunedì, poco meno di un'ora dopo l'istanza del sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio. Ma solo ieri mattina è stata comunicata ai difensori, dopo che Dell'Utri aveva lasciato l'albergo palermitano ed era salito su un volo diretto a Milano.

«Hanno rigettato la richiesta del mio arresto? Beh, che dire, l'ammalato prende un brodino», ha commentato l'ex senatore quando l'hanno avvertito, rifugiandosi in una delle battute con le quali cerca di sdrammatizzare la vicenda giudiziaria nella quale è coinvolto da quasi vent'anni e che si sta avvicinando al traguardo finale. Senza che, per adesso, sia riuscito a uscirne scagionato. Anzi. Insieme all'ultima condanna a sette anni di carcere, l'altra sera, s'era materializzato anche lo spettro del carcere preventivo.

Che lui cercava di allontanare, intorno alla mezzanotte, assaporando un sigaro cubano e un bicchiere di rosso nella penombra del bar dell'albergo. «Mi parrebbe una misura abnorme, ma in questo Paese di cose abnormi ne capitano parecchie», commentava mostrandosi rassegnato e teso allo stesso momento. I giudici avevano già deliberato di non arrestarlo, ma lui ancora non lo sapeva.

 

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