DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"
Un Francesco Belsito in versione serale impreca davanti alla televisione. «Ma che dici? Che c... stai dicendo?». Più ascolta Bossi parlare più s'innervosisce. Il Senatur piange a Bergamo, lui si infuria a Genova. Figurarsi quando tocca a Maroni: potesse, gliene direbbe di tutti i colori.
Mentre dal palco dell'orgoglio padano i vertici della Lega tirano su barricate per provare a difendersi, dal suo attico genovese di via Fiasella l'ex tesoriere del Carroccio medita come smaltire «tutta questa amarezza per il fango che stanno buttando a palate su di me».
«Ma ti rendi conto di cosa vanno parlando?» si sfoga al telefono con Paolo Scovazzi (il suo avvocato).
«Ma dico: siamo pazzi? Hai sentito cos'ha detto il capo? Sono arrivati a dire che mi ha messo lì la 'ndrangheta, che ci sono dietro i servizi segreti. Io e la 'ndrangheta? Ma se io non so nemmeno bene cos'è la 'ndrangheta! Ma quali servizi segreti? Ma di che c... stanno parlando? Io sono sempre stato un buon amministratore e loro lo sanno». «Loro»: la Lega. «Perché il mio partito mi tratta così?» si chiede Belsito. «Lo so, all'improvviso sono diventato il mostro, il capro espiatorio, la carne da macello... Capisco che possano decidere di sacrificarmi ma massacrarmi così... io non ci sto a questo gioco».
Eccola lì, la promessa. Rovesciare il tavolo e sparigliare tutte le carte. Andare davanti a un magistrato e spiegare i particolari che mancano al puzzle di questa storia. Un'intenzione venuta d'istinto mentre sullo schermo della televisione scorrevano le immagini di Bergamo, dei militanti della base con le scope in mano, dell'abbraccio fra i leader... «Aspettiamo che succeda qualcosa» rimane vago Scovazzi. Dove per «qualcosa» si intende una convocazione in Procura, un interrogatorio, la possibilità di sapere qualche dettaglio in più sulle indagini. «E poi decideremo come agire» cioè quali contromisure prendere.
In tutti questi giorni di terremoto con se stesso come epicentro, Belsito (racconta chi gli ha parlato) ha commesso l'errore di credere che la Lega lo avrebbe in qualche modo protetto, nonostante tutto. Era convinto di meritare e ottenere un «trattamento diverso», perché «quello che ho fatto è stato sempre corretto» e «non l'ho fatto mai di nascosto, era sotto gli occhi di tanti». Mai si sarebbe aspettato «solo plotoni di esecuzione».
Era sicuro che qualcuno, ai vertici, avrebbe cercato di capire, di chiedergli spiegazioni, approfondimenti, di concordare un'uscita quantomeno più dignitosa. Tanto sicuro da «aspettarsi un nuovo incarico dalla Lega», dice di aver saputo il suo più grande nemico genovese, Edoardo Rixi, candidato sindaco per la Lega e da sempre suo avversario.
Altro che nuovo incarico... Speranza abbattuta con quel salto sulla sedia e quella rabbia crescente davanti alla tivù, mentre Bossi e Maroni lo scaricavano per sempre, come buttarlo direttamente giù dal palco di Bergamo, in pasto ai militanti con le scope in mano. La reazione sta tutta in quell'annuncio: «A questo gioco non ci sto». Non si sente certo un Primo Greganti del Carroccio ed è difficile pensarlo nei panni del «Compagno G».
Semmai sarebbe più vicino al tesoriere della Margherita Luigi Lusi, come linea di condotta. E questo sembra non faccia dormire sonni tranquilli a molti, dentro e fuori dal movimento leghista. A cominciare da un bel po' di persone che hanno avuto a che fare con la Fincantieri, di cui Belsito è stato vicepresidente. La sua memoria è un registratore acceso. Adesso è in «standby». Basterà schiacciare il tasto «play». Per dirla con le parole dell'avvocato Scovazzi: «Aspettiamo che succeda qualcosa».
FRANCESCO BELSITO FRANCESCO BELSITO Francesco BelsitoLUIGI LUSI primo greganti
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