1. DAL CAMPIDOGLIO È USCITA UNA NOTIZIA BUONA E UNA CATTIVA. QUELLA BUONA È CHE, A ROMA, ALEMAGNO HA PERSO. QUELLA CATTIVA È CHE, A ROMA, HA VINTO MARINO-RIDENS 2. DE PROFUNDIS FINALE PER LA DESTRA POST-MISSINA: SEPOLTO FINI, TOCCA AD ALE-DANNO 3. UN CICLO SI E’ CHIUSO, UN’EPOCA DI VETERO-CAMERATI E’ DEFINITIVAMENTE IN SOFFITTA 4. SE LA DESTRA SEGUE IL CARRO FUNEBRE, LA SINISTRA SI RITROVA DAVANTI AL BIVIO: RENZI O LETTA? (COL SUCCESSO DELLE AMMINISTRATIVE SI RAFFORZA IL PD ANTI MATTEO)

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1. CENTROSINISTRA
Jena per "La Stampa": Ma come abbiamo fatto?

2. NUOVA DESTRA AL CAPOLINEA
Mattia Feltri per "La Stampa"

Gianni Alemanno fino a ieri, quando ha perso il Comune di Roma, è stato tutto ciò che restava della destra post-missina. E in fondo era giusto che ripiegare la bandiera toccasse a lui.

Lui che alla iattanza evaporabile di Gianfranco Fini, all'autorità caporalesca di Ignazio La Russa o al manicheismo grossier di Maurizio Gasparri ha sempre cercato di opporre una preparazione non banale. È inutile tirare fuori il suocero Pino Rauti, amico personale di Julius Evola e ultimo credibile rappresentante della destra magica, esoterica, affascinata dalla mitologia germanica medievale. Alemanno a quella destra non mussoliniana apparteneva a prescindere, prima di applicarsi più rigidamente al cattolicesimo non negoziabile e alle ovvietà ideologiche della vita d'amministrazione.

È giusto che sia lui a ripiegare la bandiera perché a una certa idea di contaminazione della destra, a una certa ambizione di uscire dal cliché del movimento sociale semimascelluto, sempre a petto in fuori, maniche arrotolate e libreria vuota, era arrivato nell'ostilità del gruppone. E nonostante la banale fama di picchiatore ricavata nei duri Anni Settanta. Fini, poi, non aveva ancora preso in considerazione l'opportunità di ampliare il suo orizzonte oltre il cordone dei colonnelli.

Da ministro dell'Agricoltura, incarico che ricoprì per tutta la legislatura 2001-2006, Alemanno si guadagnò la medaglia di Massimo D'Alema, che lo definì il migliore di quel governo. Tirò fuori ampiezza di vedute, un ambientalismo magari talvolta di maniera ma riconquistato alle ragioni della destra: quote latte, guerra agli ogm, tutte partite con cui conquistò l'interesse e la stima dichiarata di Fausto Bertinotti e di uno dei leader dell'ecologismo italiano, Ermete Realacci. Si spendeva in elogi per Carlin Petrini e la sua critica alternativa alla globalizzazione.

Trascorreva il tempo libero scalando montagne per inseguire «un risvolto metafisico», un po' cristiano e un po' panteista, poiché «andare su una montagna coincide con l'andare alla ricerca del trascendente». È che le ambizioni più elevate rischiano sempre di incepparsi sui più banali accidenti: la scalata verso l'eterno all'Ama Dablam, cima di 6 mila e 800 metri sull'Himalaya, si bloccò al secondo campo, quota seimila, per una nevicata. Una maledetta nevicata come quella del febbraio 2012, in cui si impantanò e che è il marchio comico di una consiliatura fallimentare.

Lui nemmeno voleva diventare sindaco. Nel 2008 voleva che se la giocasse Giuliano Ferrara, il quale poi non si accordò con Silvio Berlusconi. E tantomeno voleva riprovarci a questo giro. Ma i vecchi camerati non gli hanno dato scampo: rieccolo qui il punto iniziale, l'infinita guerra fratricida. Appena preso il Campidoglio, in un'intervista a Claudio Sabelli Fioretti lamentava più dolore per aver incontrato la spietata avversione dei Bertinotti e dei Realacci, e dello sfidante Francesco Rutelli, che gioia per la straordinaria vittoria mancata nel 1993 da Fini proprio contro Rutelli.

Con Berlusconi tornato a Palazzo Chigi quasi per plebiscito, alla destra sembrava aprirsi l'età aurea dell'esercizio del potere. Cinque anni dopo non c'è più nulla ed è tristissimo l'entourage dell'ex sindaco che dà la colpa alla stampa ostile. Eppure era stata la stampa non ostile, Il Foglio in un'intervista dello scorso giovedì, a evidenziare nell'incipit a che ci si riduce per raccattare consensi: ho poco tempo, devo partecipare a uno sgombero di un campo rom - diceva Alemanno.

Che nel 2008 aveva trionfato maneggiando con stile al ribasso, spalleggiato da Fini, i brutti casi di cronaca del momento. E poi s'era dato alla politica favolistica - altro che le notti bianche veltroniane - distribuendo disegni di un gran premio di Formula1 all'Eur, di abbattimento e ricostruzione di Tor Bella Monaca (la borgata dove si è votato di meno, infatti), di apertura di un casinò, di installazione in scala 1:1 di una Roma imperiale nelle periferie verso Ostia. Un chiacchiericcio sotto il quale si è malamente nascosta una sostanziale rinuncia al governo della città, mentre famigli famelici si prendevano quello che riuscivano.

E adesso? I presupposti della terza fase di vita di Alemanno sono particolarmente nebulosi. Di amici, dentro il Pdl, ne sono rimasti pochi. Fuori anche meno. Il suo progetto di riconciliare il centrodestra con il blocco sociale che lui ancora spera di rappresentare è disperato, visto che Berlusconi non ne vuole sapere, né del progetto né del progettista. Rimane il sogno di ricomporre la diaspora postmissina, roba da riempirci i sogni di molte notti. Ma se Alemanno non si trova presto un ruolo politico, la bandiera resterà ripiegata.

3. PAESI E BUOI
Mattia Feltri per "La Stampa"

Bene, se Dio vuole abbiamo finito. Per un po' di elezioni non se ne parla più. Almeno fino alle Europee dell'anno prossimo, se il governo regge, ma naturalmente tutti, o quasi, speriamo che regga. Abbiamo fatto anche le comunali, i ballottaggi e le indicazioni politiche sono precise. L'analisi ultima parrebbe che ne è uscita una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che, a Roma, Alemanno ha perso. Quella cattiva è che, a Roma, ha vinto Marino.

 

 

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