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1 - LIBIA/ H.R.WATCH: GIUSTIZIATI A SIRTE 53 FEDELISSIMI DI GHEDDAFI...
(TMNews) - Cinquantatrè persone, probabilmente fedelissimi di Muammar Gheddafi, sono state giustiziate in un albergo di Sirte la scorsa settimana. E' quanto denuncia oggi l'organizzazione Human Rights Watch (Hrw), precisando che l'albergo si trova in una zona che era sotto il controllo dei combattenti provenienti da Misurata. Hrw ha quindi chiesto al Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt) di avviare un'indagine.
"Abbiamo trovato 53 corpi in decomposizione, apparentemente di sostenitori di Gheddafi, in un albergo abbandonato di Sirte e alcuni di loro avevano le mani legate dietro la schiena quando sono stati uccisi - ha detto Peter Bouckaert, responsabile di Hrw che sta indagando sulla vicenda - questo caso richiede l'immediata attenzione delle autorità libiche perchè indaghino su quanto accaduto e ne chiamino a rispondere i responsabili".
Secondo l'organizzazione, lo stato di decomposizione fa supporre che le 53 vittime siano state uccise tra il 14 e il 19 ottobre. Gli abitanti del quartiere hanno scoperto i cadaveri il 21 ottobre, una volta cessati gli scontri nella città natale di Gheddafi, e ne hanno identificati quattro come sostenitori del colonnello.
2 - TRIPOLI NESSUNO SAPRÃ MAI DOV'Ã IL CORPO DI GHEDDAFI...
Giovanni Cerruti per "la Stampa"
Alle cinque del mattino, quand'era ancora buio. Dove non si sa, «il luogo resterà un segreto per sempre». Due rappresentanti del Consiglio Nazionale di Transizione, due del Consiglio Militare di Misurata. Nessun altro era lì. Muammar Gheddafi da ieri è sotto la sabbia del suo deserto, sepolto con il figlio Mutassim e Abu Bakr Younis, il Capo di Stato Maggiore dell'esercito sconfitto. «Non daremo altre informazioni - dice Hamed Bani, il portavoce militare del Cnt -. I presenti sono vincolati al silenzio». A Misurata due dignitari della sua tribù, i Qadafa, avevano pregato davanti alla bara.
Nemmeno i Qadafa sanno dove sia.«à finita». In testa la bustina da ufficiale dell'aviazione, il generale Ahmed Bani a metà pomeriggio si è presentato in un albergone di Tripoli più impettito del solito. A suo modo ha annunciato il rompete le righe. «Grazie a tutti». Ma dopo le domande non era meno impettito. C'è ancora molto da sapere e da capire. «Il nostro presidente Abdel Jalil ha detto che ci sarà un'inchiesta sulla morte di Gheddafi. Anche noi vogliamo appurare le ragioni dell'accaduto e chi aveva interesse a questa conclusione». Che, per quel che lo riguarda, resta la stessa: «à morto in conflitto a fuoco, sparavano da entrambe le parti».
Quando Gheddafi ha lasciato il container del «Mercato dei Tunisini» era passata da poco la mezzanotte. L'avevano avvolto in tre lenzuola bianche, come vuole l'Islam. Non l'avevano lavato, che è l'onore che spetta a chi muore combattendo. «Tutto nel massimo rispetto», come dice il generale. Hanno pregato con i dignitari Qadafa anche Mahammoud Hamid, un nipote di Gheddafi, e Mansour Daou, il capo delle sue guardie di sicurezza. Probabile che poi sia stato portato nel deserto a Sud di Sirte, così come avrebbe chiesto in un testamento. «In un posto lontano, molto lontano», dice Abdel Haid Bleka, capo militare di Misurata.
Ma per la Libia che domenica ha battezzato la sua nuova nascita, sepolto Gheddafi non sembra sia finita l'emergenza. Il Cnt ha chiesto alla Nato di allungare la missione fino al 30 novembre, un altro mese di tempo, e una risposta arriverà da Bruxelles entro la fine della settimana. Segno che, sepolto Gheddafi, la Libia non si sente ancora in sicurezza. Troppe armi in giro. Con il rischio che l'arsenale del rais finisca dove non deve finire. Leon Panetta, capo del Pentagono, da Tokyo ha già lasciato intendere il sì degli Usa: «La nostra preoccupazione è aiutare medici e feriti e trovare le armi».
E poi resta da catturare Saif al Islam, l'altro figlio, l'unico sopravvissuto al giovedì di Sirte. Lo segnalano in fuga, con un passaporto falso, ormai al confine con il Niger. L'avrebbero visto i Tuareg, o almeno così raccontano nei tg della tv libica. «Non sappiamo dove sia Saif», dice il generale Bani, ed è una risposta ovvia. In Niger, dove già ha trovato rifugio e protezione l'altro figlio Saadi, il calciatore, sarebbe già arrivato Abdallah al Senussi, il capo dei servizi segreti del rais. Saif libero potrebbe rappresentare ancora una minaccia, riunire quel che resta del vecchio regime, approfittare delle difficoltà del nuovo.
E tra le difficoltà della nuova Libia, nonostante il generale Bani e il suo rompete le righe, restano le domande sulla morte di Gheddafi e le richieste di accertamenti da parte di organizzazioni legate alle Nazioni Unite. Ad esempio sulla sorte dei miliziani di Gheddafi catturati giovedì mattina. Reporter americani li hanno fotografati con le braccia dietro la schiena, nastri di plastica bianca come manette. C'è chi li ha poi visti morti, giustiziati con un colpo alla nuca. E chi bruciati davanti all'hotel Mahari. «Cosa ne sapete voi, eravate lì?», si scuote il generale.
«Ci sono le foto», è la risposta. «Un'altra domanda...?». Così, quando da Sirte si viene a sapere che l'esplosione di due depositi di carburante ha provocato tra i cinquanta e i cento morti, ecco che ritornano i sospetti. Un rogo per fare sparire le tracce di prigionieri ammazzati? Il generale nulla ne sa. «Abbiamo prigionieri in tutta la Libia e presto faremo conoscere il numero. Avranno tutti il giusto trattamento e puniremo i maltrattamenti. I nostri valori dell'Islam lo impongono anche in queste difficili circostanze». Quindi anche Gheddafi è stato trattato da prigioniero di guerra? «Lui era un criminale, tutto il mondo lo sa». Il mondo che non saprà mai, spera il generale, dov'è sepolto.
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