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Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”
Hillary Clinton ci mette impegno. Saluta tutti, alza le braccia, batte le mani, canta «This is my fight, fight» di Katy Perry. Però non dura molto. Bastano poche parole sul podio, nei comizi, nei dibattiti e la forza gravitazionale della sua personalità prevale. La logica toglie spazio al gioco, la fattualità alla fantasia.
Hillary nasce avvocato: era tra i 100 migliori su oltre un milione di professionisti americani. Questa è la sua scuola retorica e questa ora è diventata la sua cifra pubblica.
Anche Barack Obama è un giurista. Raffinato, cerebrale.
Ma è un ragazzo di periferia. L' attivista della comunità afro.
Oggi gioca a golf, ma resta il tifoso dei «Chicago Bulls». Se c' è musica, non solo batte le mani: si mette a ballare. In Vietnam, a Ho Chi Minh, in un' arena gremita di ragazzi, ha fatto da spalla a una rapper, così.
L' altro ieri Hillary e Barack si sono presentati insieme a Charlotte, North Carolina, per il primo comizio congiunto. «Possiamo fare come Fred Astaire e Ginger Rogers» ha detto Obama. Ma nel ticket tra il presidente e la donna che potrebbe succedergli non c' è complementarietà. Si è visto con chiarezza e ieri i giornali americani, a cominciare dal New York Times , lo hanno notato.
Hillary è a posto come sempre, con la giacca lunga e svasata, stavolta rosa shocking, ideata dalla stilista Nina McLemore, la stessa che veste la senatrice Elizabeth Warren nonché la presidente della Fed, Janet Yellen e che teorizza: «L' abbigliamento della donna autorevole non deve distrarre».
Obama arriva con camicia azzurra e cravatta, senza giacca.
Come dire: siamo tra amici, oggi ci divertiamo un po'. E così è.
Hillary appare rigida, nella sua corazza di donna «autorevole», anche se non ancora al vertice del potere. Barack, che quel potere ce l' ha da sette anni, si muove in scioltezza. Sempre dinoccolato, a suo agio con il pubblico. Guida il coro «Hillary, Hillary»; fa finta di asciugarsi la lacrimuccia quando l' ex Segretario di Stato ricorda che Malia ormai ha compiuto diciott' anni.
E poi smorfie, ammiccamenti, battute. Dopo cinque minuti l' audience lo segue a comando.
A quel punto Hillary diventa semplicemente una spettatrice come gli altri. Solo che il suo posto è su uno sgabello dietro il palchetto. Non è, come dovrebbe essere, la protagonista. Non è Ginger Rogers. Riesce a malapena a fare da comprimaria.
Lo stile, la tenuta sul palcoscenico della candidata democratica è un problema non risolto.
Nell' ultimo anno è capitato regolarmente. All' inizio di febbraio, alla vigilia del primo caucus in Iowa, l' ex Segretario di Stato invitò Gabrielle Giffords, la senatrice scampata miracolosamente a un attentato. Bastò un «Hello Iowa» di Gabrielle, ancora fisicamente provata, per scatenare l' applauso più caldo.
Nel corso di una competizione la forma, a torto o a ragione, viene percepita dagli elettori come sostanza. La prova più evidente è Donald Trump che sta vendendo una postura netta, riconoscibile, in mezzo a paurosi ondeggiamenti sui contenuti.
Hillary Clinton, al contrario, è solida sulle proposte, ma oscillante negli atteggiamenti. Un anno fa aveva cominciato parlando sempre in prima persona: «io, io, io», mentre il suo concorrente Bernie Sanders faceva il pieno di consensi e di entusiasmo dicendo: «noi, noi, noi».
Dopo ha provato a immergersi «tra la gente», per «ascoltare» e «raccogliere suggerimenti».
Infine ha chiesto aiuto al marito Bill e poi all'«amico Barack», che non aspettava altro. Lei stessa ha riconosciuto che la campagna elettorale non è il suo habitat naturale. Può darsi che magnetismo e carisma arrivino in automatico, se riuscirà a vincere le elezioni di novembre. A quel punto, battute o non battute, tutti saranno costretti ad ascoltare i suoi lunghi e dettagliati progetti. Ma, intanto, Hillary ci deve arrivare alla Casa Bianca.
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