DOPO I FLOP IN POLITICA ESTERA, OBAMA VUOLE METTERE LA BANDIERINA SULLA PACE ISRAELE-PALESTINA

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Francesco Mimmo per "la Repubblica"
Nove mesi per trovare un «compromesso ragionevole». I colloqui di pace tra Israele e Palestina ripartono dopo tre anni di stop e sotto la regia americana. Si ricomincia con un'agenda serrata e con la consapevolezza che i protagonisti si troveranno davanti «scelte difficili», ma che è «stato fatto un passo avanti verso una pace possibile», come ha detto ieri il presidente Usa Barack Obama in un messaggio che di fatto ha aperto la nuova stagione di negoziati.

L'appuntamento è per oggi al Dipartimento di Stato a Washington, dove si incontreranno le delegazioni israeliana e palestinese, guidate rispettivamente dal ministro della Giustizia Tzipi Livni e dal negoziatore di lungo corso Saeb Erekat. Ci saranno anche il capo della diplomazia americana John Kerry e il nuovo inviato americano per il Medio Oriente, Martin Indyk (ex ambasciatore in Israele) nominato ieri, a poche ore dall'inizio dei colloqui.

Ma già ieri la giornata è stata segnata da incontri importanti. Il ministro Livni ha visto a New York, appena atterrata, il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon. L'incontro al Palazzo di vetro è servito per informarlo sulla difficile gestazione della trattativa e soprattutto a chiedere l'impegno dell'Onu ad evitare iniziative unilaterali delle proprie agenzie (riferimento a quanto accaduto a novembre con l'approvazione dello stato di "osservatore" per lo Stato di Palestina).

Poi appuntamento a Washington dove i negoziatori si sono seduti per la prima volta allo stesso tavolo dopo tre anni. Letteralmente: il segretario di Stato John Kerry ha offerto a casa sua un "iftar", il pasto che le comunità islamiche consumano la sera durante il mese del Ramadan.

Un incontro informale, al solo scopo di «prendere contatto», ma dal quale è filtrata la voglia di tutti di fissare in fretta un'agenda e una base di discussione. Gli Stati Uniti hanno fretta e vogliono un risultato concreto, con l'obiettivo non dichiarato di arrivare alla fine di questo primo round di nove mesi, se possibile anche prima, a un incontro bilaterale tra il premier israeliano Netanyahu e il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen.

Non sarà facile, almeno a giudicare dalle prime reazioni interne, sia in Israele che in Cisgiordania. I due leader, secondo il giudizio quasi unanime degli analisti, sono soli. E devono affrontare dubbi e critiche. L'avvio del negoziato è stato reso possibile dalla decisione di Israele di liberare 104 prigionieri palestinesi in carcere da prima degli accordi del ‘93, un atto considerato imprescindibile dai palestinesi.

La proposta di Netanyahu è passata a fatica, domenica, in un consiglio dei ministri infuocato. A Gerusalemme, mentre i parenti delle vittime protestavano fuori dalla sede del governo per la liberazione di terroristi con "le mani sporche di sangue", il provvedimento è passato, ma con il no di sette ministri su 22 (più due astenuti) e con una soluzione di compromesso dettata dalla destra radicale. I detenuti saranno liberati a tappe, seguendo l'andamento del negoziato e lasciando per ultimi i casi più controversi. E proteste ci sono state a Ramallah, capitale amministrativa dei palestinesi.

Ma i punti critici sono tanti. La base di discussione è la piattaforma dei "due Stati" sulla base dei confini del ‘67 e con uno "scambio" di terra. I palestinesi chiedono un congelamento dei nuovi insediamenti in cambio del riconoscimento di alcune colonie già presenti. Ma sui nuovi insediamenti la destra radicale, decisiva per le sorti del governo, non è disponibile ad accettare limitazioni. D'altronde se «fosse stato facile, la pace ci sarebbe da molto tempo», ha detto ieri Kerry aggiungendo le sue speranze che un «compromesso ragionevole» sia alla portata.

 

JOHN KERRY OBAMAohn Kerry con il presidente Barack Obama TZIPI LIVNIabu mazenOBAMA NETANYAHU netanyahu e ahmadinejadnetanyahu