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Alberto D'Argenio per “La Repubblica”
OBAMA CAMERON HOLLANDE RENZI merkel
Da Washington a Berlino, da Parigi a Bruxelles: nelle grandi Cancellerie si respira preoccupazione per l’esito del referendum costituzionale italiano. D’altra parte nelle ultime settimane, ricche di incontri internazionali, Matteo Renzi ha spiegato ai partner stranieri in modo efficace la portata della consultazione popolare che si celebrerà tra fine novembre e inizio dicembre: «Se perdo vado a casa».
Dopo la Brexit, con la Spagna senza governo, la Francia con una leadership traballante, la Germania alle prese con la crescita degli euroscettici della Afd e l’Est Europa in preda ai venti populisti, in Europa e Oltreoceano nessuno vuole che scoppi anche un “Caso Italia”.
renzi prova a stringere la mano a obama
Da qui la doppia uscita americana tra ieri e lunedì. Prima l’annuncio ufficiale della cena di Stato tra Obama e Renzi alla Casa Bianca il 18 ottobre, un onore che il presidente uscente in otto anni non ha mai riservato a un leader italiano. Poi le dichiarazioni in favore del “Sì” dell’ambasciatore John Philips.
L’idea dell’incontro a Washington nasce da lontano, spiegano a Palazzo Chigi, frutto della simpatia personale e politica tra Obama e Renzi che ne hanno iniziato a parlare a fine maggio al G7 di Iseshima. Uno spunto sul quale ha lavorato l’ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio. Quindi l’accelerazione dopo il G20 cinese della scorsa settimana ad Hangzhou, con Renzi che non ha mancato di spiegare ai partner l’importanza del referendum. E Obama - che già in occasione del voto britannico sulla Brexit ha dimostrato di non tirarsi indietro - ha raccolto la sfida.
armando varricchio e john phillips
Di fatto la cena di ottobre per il premier rappresenta un appuntamento del massimo prestigio a poche settimane dal voto sulla riforma costituzionale ma le dichiarazioni di Philips, per quanto in linea con il pensiero dell’amministrazione Usa, qualche imbarazzo al governo lo provocano.
Un mezzo boomerang, come dimostrano le polemiche del M5S e degli altri partiti di opposizione, anche se a Palazzo Chigi più che altro ieri sera si registrava un certo stupore per le parole di Luigi Di Maio: «Capiamo la sua necessità di uscire dai guai romani, ma che il vicepresidente della Camera tiri in ballo Pinochet è troppo, un rappresentante istituzionale non può spingersi a tanto».
È proprio per evitare il rischio di essere tacciati di ingerenza che i leader evitano di esporsi in modo palese sul referendum italiano, preferendo piuttosto sostenere il governo con i fatti. L’invito a cena di Obama, che non vuole altri scossoni in Europa e apprezza la partnership italiana sulla Libia, così come il via libera di Angela Merkel alla flessibilità sui conti. Proprio nel chiuso di uno degli ultimi incontri estivi con la cancelliera il premier ha spiegato chiaramente la situazione politica italiana.
john r phillips ambasciatore usa in italia
Di fronte ai “ni” della “donna più potente del mondo” alle richieste di nuovi margini sul deficit, Renzi non ha usato giri di parole: «Angela, se non posso fare una manovra espansiva perdo il referendum e vado a casa». Frase che ha provocato lo stupore della cancelliera: «Ma non si vota nel 2018?». Spaccato che spiega il via libera, poi esplicitato in pubblico a Maranello, alle nuove richieste italiane di flessibilità.
Ormai l’importanza del voto referendario non sfugge più a nessuno in Europa. Parlando con i più stretti collaboratori di Merkel, ad esempio, il refrain è chiaro: «La tenuta del governo italiano dopo la Brexit è cruciale, nessuno vuole danneggiare Renzi».
MATTEO RENZI AL TAVOLO CON BARROSO VAN ROMPUY HARPER HOLLANDE CAMERON OBAMA MERKEL E SHINZO ABE
Così come al ministero delle Finanze guidato da Schaeuble non nascondono identica preoccupazione (e derubricano gli ultimi attacchi del Finanzminister a questioni di politica interna tedesca): «Se non passa il referendum arriva un pessimo segnale, significa che l’Italia è irriformabile ». E filtra la paura della cancelliera di ritrovarsi ai summit un premier targato Cinquestelle, visto come una minaccia per la sopravvivenza dell’Ue.
Stabilità, dunque, a maggior ragione nell’attuale quadro politico nel quale Renzi è uno dei pochi leader europeisti saldo in sella. Stesso concetto viene ribadito nell’inner circle di Hollande e a Bruxelles, dove fonti europee spiegano l’impegno di Juncker ad aiutare Renzi sui dossier cruciali: «E’ percepito come un riformatore europeista che deve far rialzare l’Italia dopo Berlusconi. Se perdiamo lui perdiamo l’Europa ». Renzi oggi è un interlocutore irrinunciabile.
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