LA LIBERAZIONE DI CECILIA SALA È INDUBBIAMENTE UN GRANDE SUCCESSO DELLA TRIADE MELONI- MANTOVANO-…
Paolo Campo per "Europa Quotidiano"
Adesso agitano la ramazza e chiedono che la pulizia sia profonda. Inflessibili su Renzo Bossi e Rosy Mauro per disarticolare il Cerchio magico stretto attorno a Umberto Bossi. Ma non è stato sempre così per i colonnelli della Lega, alle prese oggi con una turbolenta, drammatica guerra di successione (dopo che per anni è stato semmai il tema della "secessione" all'ordine del giorno nel Carroccio).
Roberto Calderoli, ad esempio, oggi uno dei tre reggenti di questa velenosa transizione, ha mostrato di apprezzare il gesto del figlio di Bossi di dare le dimissioni dall'incarico di consigliere regionale, «così facendo - ha ammesso grave l'ex-ministro al Tg4 - ha dato una mano a superare il momento di difficoltà in cui versa il movimento ».
Ma un annetto fa, in una intervista a Panorama, rivendicava, invece, di essere stato tra gli artefici della scelta di nominare il trota responsabile media della Lega: «à stato deciso da Roberto Maroni, Giancarlo Giorgetti, Rosy Mauro, i capigruppo di camera e senato e da me. Più Bossi. Ci voleva uno giovane e conosciuto. Renzo Bossi era l'uno e l'altro». All'insegna di una collegialità che oggi magari susciterà qualche imbarazzo tra i dirigenti leghisti.
E tornando indietro ai giorni della prima incoronazione del figlio del Senatùr, annunciata nel 2005 a Lugano con il ragazzo a sostenere il papà affacciato alla finestra dopo la malattia, Calderoli si mostrava tra i più entusiasti del passaggio di consegne simbolico tra padre ed erede: «Io e Maroni siamo vecchi, siamo della Lega della prima ora». «Noi dobbiamo lavorare per l'oggi e poi affidare il movimento a qualcuno che nel frattempo sta formandosi».
Che, detto da chi sette anni dopo si ritrova reggente del partito, è una profezia niente male. «Renzo è la fotocopia del papà . Quindi se lo facciamo crescere - aggiungeva l'ex ministro delle riforme - avremo un ottimo cavallo da corsa». Un giudizio condiviso da un altro big leghista, Roberto Castelli, che, come Calderoli, nel 2005 non si sorprendeva affatto dell'investitura paterna per Renzo: «La Lega prima che un partito è un modo di essere, quindi è naturale che un padre voglia trasmettere i propri valori ai figli».
Qualche anno più tardi, nel settembre 2008, in una intervista al Riformista, l'ex-guardasigilli difendeva addirittura l'onnipresenza del giovane Bossi, perfino nei vertici politici con Silvio Berlusconi: «Spesso alle riunioni ci sono altre persone oltre ai segretari di partito, sarebbe paradossale che venga escluso il figlio del capo». Al quale Castelli pronosticava, un anno fa esatto, un radioso futuro politico ai microfoni di una trasmissione radiofonica: «Tra cinque anni Renzo potrebbe essere il nuovo leader della Lega nord; se tu hai un maestro come Umberto Bossi, e sei uno sveglio, in sette o otto anni si può diventare un buon politico».
Anche il terzo Roberto leghista, Maroni, oggi il più vigoroso nella richiesta di un repulisti implacabile, prima di diventare un "barbaro sognante", aveva difeso eccome la "Family". Quando, ad esempio, Panorama pubblicò lo scorso settembre un ritratto molto duro di Manuela Marrone, che per poco non provocava una crisi di governo, proprio l'allora ministro degli interni - stando almeno al racconto che ne fece all'epoca Calderoli - si sarebbe fatto sotto al presidente del consiglio Berlusconi su quella «gratuita carognata», restando in attesa di «risposte immediate e risolutive».
Una difesa d'ufficio, si potrà pensare. Ma pochi mesi prima, nel clima infuocato della campagna elettorale per le regionali, Maroni si era speso in prima persona per la candidatura del Trota a Brescia. Una discesa in campo con il paracadute, quella di Bossi junior, che fece storcere più di un naso nella città lombarda. Non quello dell'allora ministro che, parlando con il Corriere della Sera, citò il caso di Renzo come il «contrario del nepotismo».
Così sarebbe stato se avesse scelto il listino blindato, «invece - sottolineò Maroni - ha preferito andarsi a prendere i voti casa per casa». Un coraggio che Bobo apprezzò di persona, andando a fare campagna elettorale a Brescia per il rampollo. 24 marzo 2010, conferenza stampa al caffé "I Macc de le ure" di piazza Duomo, Maroni in mezzo a benedire, Renzo alla sua sinistra, il presidente della Provincia Daniele Molgora a destra, presente in sala la regina della Camunia, Monica Rizzi, vicinissima al Trota e insider del Cerchio magico.
«Purtroppo non posso scrivere il nome Bossi sulla scheda, a casa mia - spiegava l'ex-ministro - se fossi qui, certo, il nome Bossi è una garanzia». E, per rafforzare il concetto, definiva il Trota - lo riporta la Padania - «un ragazzo preparato che ha scelto di mettersi in gioco scegliendo la strada meno facile. Nella Lega conta il lavoro a prescindere dal nome». In due anni le cose devono essere cambiate parecchio.
ROSI MAURO CON RENZO BOSSI jpegRENZO BOSSI - TROTA E ROSI MAURO6 calderoli castelli maroni 0018la moglie di Bossi Manuela MarroneMONICA RIZZI E IL TROTA
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