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Marco Palombi per “Il Fatto Quotidiano”
“No comment, sulle manovre non commento”. Così Pier Carlo Padoan ha risposto ieri ai giornalisti che lo attendevano in Transatlantico dopo la sua relazione al Parlamento sull’esito del vertice Ecofin della scorsa settimana. Il no comment del ministro dell’Economia segna già un cambio di indirizzo rispetto alle smentite decise di qualche settimana fa. Ora non resta che aspettare un altro po’ e la necessità di correggere il bilancio pubblico - se si vogliono rispettare gli accordi europei - sarà ammessa senza problemi: “Ma ‘no comment’ non significa soltanto ‘non ho nulla da aggiungere’? Non c’è nessuna ‘manovra’ in arrivo, semplicemente”, ci ha poi messo una pezza, via Twitter, nel tardo pomeriggio.
Il punto, infatti, non è la “manovra” per cambiare i saldi della finanza pubblica, ma quel che bisognerà fare per rispettare gli impegni già presi (cioè i saldi già scritti nel Def), di cui Bruxelles e Berlino continuano a chiedere il rispetto pieno.
Stefano Fassina (“chi?”), ex viceministro dell’Economia, minoranza Pd di rito bersaniano, al di là del tecnicismo manovra-non manovra, quantifica gli impegni da rispettare più o meno nella misura già indicata dal Fatto Quotidiano (più o meno venti miliardi): “Le valutazioni del ministro Padoan, con la conferma del pareggio di bilancio in termini strutturali per l’anno prossimo, prospettano una Legge di Stabilità nell’ordine di 23 miliardi di euro per il 2015, senza includere le risorse aggiuntive per la promessa estensione del bonus Irpef a Partite Iva, incapienti e pensionati e le risorse aggiuntive per il necessario contrasto alla povertà assoluta raddoppiata nel triennio alle nostre spalle”, ha scritto sul suo blog per Huffington Post.
D’altronde, è il seguito, se il modello è quello tedesco, basato sulla deflazione interna (austerità e taglio dei salari) per spingere le esportazioni, allora non può funzionare per tutti. Fassina non è nuovo a queste analisi, le faceva anche quando sedeva nel governo di Enrico Letta, il premier autore di Morire per Maastricht: “Certo, ancora una volta verremo iscritti tra i ‘gufi’. Pazienza. Il vero pericolo oggi sono gli struzzi che continuano a tenere la testa sotto la sabbia”.
Tra questi - c’è da scommetterci - Fassina non metterebbe Padoan. Il ministro infatti, ieri alla Camera, gli ha sostanzialmente dato ragione, pur nella differenza di linguaggio: “I dati macroeconomici più recenti, se confermati, indicano un ritardo nel meccanismo di ritorno alla crescita sostenuta in Europa e altrove; ciò è vero anche per il nostro Paese. I margini per l’azione del governo si faranno, in questo caso, più stretti, ma non per questo si indebolisce la prospettiva di medio termine”.
Per non farsi mancare niente, poi, il titolare del Tesoro ha confermato il rispetto di tutti gli impegni presi in sede europea, ivi compreso il pareggio di bilancio strutturale dal 2016, per poi concludere la cavalcata con il “no comment” successivamente ridimensionato. Insomma , niente crescita (“non ci sono scorciatoie”) ma ancora tanta disoccupazione: anche se, avverte, si continua a sottostimare l’impatto delle riforme sul Pil. “Mi piacerebbe - rispose all’argomento il senatore del Pd Walter Tocci qualche tempo fa - vedere il modello econometrico con cui il Tesoro stima l’influenza sulla crescita dell’abolizione del Senato”.
ENRICO LETTA CONFERENZA STAMPA A PALAZZO CHIGI
Non ha ancora avuto il bene di vederlo e noi con lui, mentre purtroppo si conosce già la fallacia dei modelli che stimano crescita del Prodotto interno a partire da politiche di offerta come le riforme del mercato del lavoro (in genere per abbassare tutele e diritti): non hanno funzionato con la Fornero, non hanno funzionato con la “garanzia giovani” di Letta ora passata a Renzi. Questa è una crisi di domanda, non certo di offerta.
In realtà, però, Padoan non s’è limitato a questo: oltre a spiegare al Parlamento che la Commissione europea ci riprende perché non capisce il molto che è stato già fatto e il moltissimo che si farà, il ministro dell’Economia ha anche messo a verbale che il bonus fiscale da 80 euro voluto da Matteo Renzi diventerà strutturale dalla prossima legge di Stabilità (il che, peraltro, aumenta il monte complessivo dei soldi da trovare in autunno di altri 10 miliardi almeno).
Come? Non si sa, ma il governo “è determinato a preservare il difficile equilibrio tra consolidamento dei conti pubblici e sostegno alla crescita e all’occupazione”. Il problema è che il “consolidamento dei conti”, cioè l’austerità, uccide il Pil. E Padoan dovrebbe saperlo.
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