IL BANANA NON VUOLE LASCIARE IL PARTITO A FALCHI BOTULINATI E LEALISTI COL PANNOLONE E CATETERE: PRONTA UN’INFORNATA DI VOLTI GIOVANI E PRESENTABILI (DICE LUI)

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Paola Di Caro per "Il Corriere della Sera"

È tornato per mostrare a tutti che chi comanda è ancora lui. Che il leader di Forza Italia, nonché presidente e unica carica non decaduta ma anzi nel pieno dei suoi poteri, è ancora lui. E che su come condurre i prossimi passi, nel partito e sulle strategie, bisognerà seguire lui.

Silvio Berlusconi riunisce i vertici azzurri nella nuova sede di San Lorenzo in Lucina e non più nella sua residenza di palazzo Grazioli, e ribadisce quello che da giorni sta dicendo, in pubblico e in privato: Forza Italia deve cambiare, svecchiarsi, modificare il suo Dna e trovare «nuova linfa». Serve, ha ripetuto anche ieri il Cavaliere ai rappresentanti delle varie anime del partito, un'iniezione di gioventù e novità, un «mix di imprenditori, docenti, professionisti, ragazzi entusiasti, ma anche consiglieri regionali, sindaci bravi, gente del territorio».

Da miscelare con i «superstiti» della scissione, per resistere e contrattaccare. Parole che l'ex premier aveva in parte detto dal palco del Consiglio nazionale, e ribadito in maniera più colorita ai ragazzi dei circoli di Dell'Utri ricevuti lunedì scorso a villa Gernetto: «I giovani sono diventate persone adulte, qualcuno è diventato un vecchietto. E quindi c'è bisogno di una linfa nuova, di un entusiasmo, di una passione giovane, che venga a schierarsi di fianco ai superstiti», le sue parole rubate in un fuorionda e pubblicate online dal quotidiano Europa. Insomma, in una struttura che risente «moltissimo dell'età, come in tutti i partiti», c'è tanto da cambiare.

Parole che preoccupano chi tra i falchi e i lealisti teme un'invasione esterna che li lasci a terra. Così come resta forte il sospetto che il legame tra Berlusconi e Alfano ancora resista, nonostante le parole dure affidate anche ai giovani («In un partito chi è minoranza si adegua, non se ne va») e le assicurazioni date ai suoi ieri: «Si afflosceranno, anche Fini all'inizio era dato alto nei voti, e avete visto come è finito. Siate indifferenti, non preoccupatevi».

E però, una certa ambiguità nei suoi atteggiamenti rimane la spina nel fianco dei duri e puri che si sono schierati accanto a lui e che adesso reclamano scelte nette. Motivo per cui anche la decisione su chi dovrà essere il nuovo capogruppo al Senato al posto del dimissionario Schifani vede in atto un braccio di ferro sotterraneo che solo oggi si scioglierà.

Ieri per tutto il giorno è circolata la voce che, fino al voto sulla sua decadenza, avrebbe potuto essere lo stesso Berlusconi a guidare i suoi senatori: «Sarebbe un atto fortissimo, buttarti giù in quel caso sarebbe un vulnus ancora più grave e insostenibile», gli hanno suggerito alcuni fra i fedelissimi. Ma l'ipotesi è tramontata, mentre resta in piedi quella di un'offensiva in tivù prima del voto del Senato (lunedì dovrebbe essere a Porta a Porta ).

Sul campo restano allora due candidature: esclusa la possibilità, pure gradita all'ex premier, che il presidente di una commissione importante come la Giustizia Nitto Palma o il vicepresidente del Senato Gasparri lascino le loro cariche (difficilmente verrebbe rieletto al loro posto un azzurro), la corsa vede affiancati Paolo Romani e Altero Matteoli. Il primo, che ieri sembrava quasi certo di ottenere l'incarico dopo l'okay di massima avuto da Berlusconi, rappresenterebbe l'anima più aziendale e dialogante con gli scissionisti in campo.

Per questo non è gradito ai falchi che preferiscono l'ex ministro An, nonostante anche lui rivesta la carica di presidente di commissione, quella per le Infrastrutture. Oggi si deciderà, senza andare alla conta. E si capirà anche il peso in campo delle varie componenti.

Berlusconi sa che, al di là degli appelli al rinnovamento, non può permettersi di perdere nessuno dei suoi parlamentari, né può umiliare i fedelissimi che gli sono accanto in una battaglia che, presto, potrebbe portare Forza Italia all'opposizione. Magari già quando si voterà la legge di Stabilità, che come è oggi «per noi non è sostenibile», ha ribadito l'ex premier, anticipando la probabilissima rottura.

 

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