MAGRI ALLA META - VALENTINO PARLATO: “LUI RAZIOCINANTE E INCLINE ALLA TEORIA, IO "ARRANGISTA" E FATALISTA - HO CERCATO FINO ALL’ULTIMO DI IMPEDIRGLI DI FARLA FINITA, MA SE UNO È PADRONE DELLA VITA È ANCHE PADRONE DELLA SUA FINE - AVREBBE VOLUTO MORIRE CON MARA, MA LEI GLIEL’AVEVA IMPEDITO. NO, DEVI FINIRE IL LIBRO, DEVI SCRIVERE IL SAGGIO SUL COMUNISMO, CI TIENI TANTO. E IO - DICEVA - LE HO TENUTO FEDE, HO CONCLUSO IL LIBRO. E ORA SONO ARRIVATO AL TERMINE”…

1 - IL COMUNISTA FINO IN FONDO CHE PER SÉ HA SCELTO "UNA MORTE POLITICA"
Riccardo Barenghi per "la Stampa"

Con lui, in quella stanza, accanto al suo letto, c'era Rossana Rossanda, che l'ha voluto accompagnare fino alla fine: «È stato tristissimo, non terribile, ma tristissimo», dice con un filo di voce al telefono da Parigi. E Lucio come stava, che diceva? «Ti puoi immaginare come si sta in un momento del genere... ma ora scusami, non ce la faccio a parlare, ho solo bisogno di riposare».

Quando sua moglie è morta, Lucio Magri disse a Valentino Parlato: «È morta Mara, per me è una perdita irreparabile. Volevo morire con lei ma lei mi ha chiesto di non farlo, mi ha detto che dovevo finire il mio libro. Ecco adesso il libro è finito, ha avuto anche un buon successo. Adesso sono arrivato al termine».

Da quel giorno, circa due anni fa, Lucio ha dedicato il resto della sua vita all'organizzazione della sua morte, con una meticolosità agghiacciante. Fino all'altro ieri quando ha fatto il suo ultimo viaggio in Svizzera (ne aveva già fatti altri due ma non si era sentito pronto ed era tornato a Roma), dal quale rientrerà in Italia in un carro funebre, prenotato da lui, per essere sepolto a Recanati. Senza funerali, senza orazioni, senza discorsi. Così ha voluto e scritto in una lettera ai suoi amici più intimi.

«Lucio era un iper razionale - racconta Parlato - ma anche un uomo estremamente passionale. La sua passione era la politica, ovviamente, e nella politica la sinistra. Ma anche le donne le ha amate con passione, anche quando faceva quelle che noi liquidavamo come cazzate tipo la sua relazione con Marta Marzotto. Ma Mara, è il caso di dire, l'ha amata fino alla morte. E questa è la ragione del suo suicidio e forse anche la morte della "sua" sinistra».

Siamo nella redazione del manifesto, giornale fondato da Magri insieme a Rossanda, Luigi Pintor, Aldo Natoli, Luciana Castellina, Massimo Caprara e ovviamente Parlato. All'epoca, nel 1969, era «solo» un mensile che però, per le posizioni così poco ortodosse nei confronti dell'Unione Sovietica e del Pci in cui allora tutti loro militavano, costò a questi dirigenti politici la radiazione dal Partito. Il quotidiano venne dopo, il 28 aprile del ‘71.

La storia di Magri è stata in gran parte la storia del manifesto, malgrado la sua origine di giovane democristiano di sinistra a Bergamo e malgrado le rotture che via via hanno segnato la vicenda di questo giornale, che dopo quarant'anni di vita senza soldi è ancora in edicola.

E ieri pomeriggio si discuteva, in una atmosfera profondamente turbata, di come raccontare sul giornale la storia di Lucio, i pezzi che sarebbero arrivati, Pietro Ingrao, che del gruppo è stato il maestro politico anche se non ha condiviso la loro scelta di rompere con Pci ed ha votato a favore della radiazione (per poi pentirsene innumerevoli volte), Giuseppe Chiarante, che di Magri è stato amico fin dai tempi democristiani di Bergamo, di Luciana Castellina che con Lucio ha condiviso anche un bel pezzo di vita sentimentale, di Parlato che ancora scrive a macchina. Più tanti altri, lettere, messaggi di lettori.

Racconta ancora Parlato che per due anni lui e tutti gli altri, tutti quei pochi che conoscevano il progetto suicida di Lucio, hanno cercato di convincerlo a non farlo: «Ma oggi mi sento in colpa, dovevo insistere di più, rompergli le scatole tutti i giorni, tutte le ore. Ma poi, chissà se avrei ottenuto un risultato, Lucio era determinato in tutte le cose che faceva, non era facile, anzi direi impossibile fargli cambiare idea. Io, e questa è una differenza di carattere che a volte ci faceva litigare, sono più fatalista, meno pignolo, più "arrangiatore"».

Ma perché proprio un suicidio assistito, in Svizzera con un'iniezione letale? «Diceva che lui non poteva morire sotto un treno o una macchina o gettandosi da un ponte. Voleva una morte pulita». Ma è giusto suicidarsi, è una scelta eticamente corretta? «Certo che lo è, io rivendico il diritto al suicidio. Nella nostra Costituzione non c'è mica scritto che tutti i cittadini hanno il dovere di campare fino alla morte naturale... Penso che anche in questo, Lucio abbia fatto una scelta politica, nel senso che ha dimostrato di essere padrone della propria vita. Mandando un segnale inequivocabile a tutti coloro che, anche in queste ore, polemizzano sul valore della vita».

E Parlato la farebbe una scelta così estrema se sentisse il bisogno di chiudere la partita? «Sì la farei, magari non in un ospedale svizzero ma nel mio letto».

2 - VALENTINO PARLATO "ERO CONTRARIO, ABBIAMO LITIGATO MA CON LA SUA SCELTA HA DIMOSTRATO DI GOVERNARE LA VITA FINO IN FONDO"
Simonetta Fiori per "la Repubblica"

«Che volete sapere da me? Posso dire che è un gesto che attiene alla sua personalità, mescolanza di razionalità pura e di passione. E poi l´anagrafe non è cosa da sottovalutare. Avere ottant´anni, che si fa più? Solo un avvenire di malattie, questo Lucio me lo ripeteva spesso».

Valentino Parlato passa veloce nei corridoi del Manifesto, le spalle leggermente incurvate, il sorriso accennato, lo sguardo affettuoso. I redattori lo salutano con serena sobrietà, l´abbracciano ma senza lutto, coi padri si fa così, li si rassicura per esserne rassicurati.

Arriva una telefonata della Rossanda, che racconta il suo ultimo viaggio con Lucio. È stata lei, la sorella maggiore, l´amica forte e generosa, ad accompagnarlo in Svizzera. L´ex direttore Barenghi tenta di alleggerire l´atmosfera con ricordi di zuffe lontane. Parlato asseconda, è gentile, ma come distante: «Mi mancano i miei amici. Mi manca Luigi. E mi manca Aldo Natoli. Con loro mi sarebbe piaciuto parlare di Lucio, del suo gesto».

Lei, Parlato, come lo decifra?
«È il prodotto di una razionalità estrema, ma non possiamo trascurare la cifra sentimentale, la scomparsa della moglie. Per un uomo avventuroso come lui, Mara rappresentava l´ordine, l´ancoraggio forte. Lucio ha cominciato a morire insieme a lei».

Ve ne parlava?
«Sì, raccontava che avrebbe voluto morire con Mara, ma che lei gliel´aveva impedito. No, devi finire il libro, devi scrivere il saggio sul comunismo, ci tieni tanto. E io - diceva - le ho tenuto fede, ho concluso il libro. E ora sono arrivato al termine».

Un singolare impasto di raziocinio e romanticismo.
«Ma Lucio era questo, anche nella sua vita politica. Passione e ragione. Se penso a tutte le volte che abbiamo litigato...».

L´ultima volta?
«No, recentemente ci azzuffavamo non sulla politica ma su questa sua decisione di farla finita, però niente da fare. Lucio è sempre stato così, quando si mette in testa una cosa... Litigi accesissimi ci furono quando il Pdup nel 1973 annunciò di voler fare del Manifesto un organo di partito. Figurarsi Luigi, Rossana ed io, che i partiti li detestavamo, poi anche il Pdup non è che ci piacesse tanto».

Ma è vero che non "vi pigliavate", caratteri diversi?
«Lui raziocinante e incline alla teoria, io "arrangista" e fatalista: due modi diversi di stare al mondo...».

E tra Magri e Pintor erano scintille?
«Un rapporto conflittuale e insieme solidale. Avevano due personalità mica da ridere, con due opposte concezioni del giornale e della politica. Maggiori affinità legavano Lucio e Rossana, attenti alle ragioni della ricerca teorica e appassionati entrambi di filosofia tedesca. A Luigi della filosofia non gliene fregava niente».

Il fratello Giaime era un grande germanista.
«Sì, Luigi amava molto Rilke. Ecco proprio su questo classico di recente ho litigato con Lucio. Recensendo il libro di Luciana Castellina, scrissi che senza Rilke il Manifesto non ci sarebbe stato. Lucio la prese malissimo, "ma che cazzo c´entra Rilke con la lotta di classe?"...».

Vi vedevate spesso?
«Sì, abitiamo vicini, lui in piazza del Grillo e io in via del Boschetto. Ci capitava di giocare a scopone. Se non vinceva, si seccava».

Manie di protagonismo?
«Era un po´ egocentrico, narciso sì, d´una vanità singolare. Era convinto di essere bello».

Lo era.
«Sì, ma anche di essere agile. Quando salivamo le scale, faceva quattro scalini per volta. Anche negli ultimi tempi».

E i suoi amori un po´ spettacolari, il legame con Marta Marzotto?
«Cazzate di Lucio».

Era un perfezionista?
«In tutte le cose che faceva, era costituzionalmente spinto ad eccellere. Anche quando scriveva un articolo. Io riesco a farli così così, lui no, poteva starci giorni. Era molto meticoloso».

Lo è stato anche in morte: tutto deciso nel dettaglio.
«Sì, le pompe funebri già allertate, la lettera ai compagni».

Una morte estetica?
«No, una morte pulita. Voglio morire senza sfasciarmi sul selciato o in qualche altro modo atroce. Avrebbe voluto che passasse sotto silenzio. Cosa impossibile».

Un gesto che secondo lei ha un valore politico?
«Solo nel senso di dire "no". Un "no" alla politica italiana dell´ultimo ventennio, sinistra inclusa. "La sinistra italiana che conosciamo è morta", scrisse Luigi poco prima di morire. Così la pensava anche Lucio».

Ma lui voleva dare al suo suicidio un carattere di denuncia?
«No, è stato un gesto personale. Però non gli saranno sfuggite le conseguenze pubbliche. Voglio anche aggiungere che questo suicidio fa crescere il peso della sua personalità, la sua capacità di governare la vita fino in fondo».

Lei difende il diritto al suicidio?
«Sì, se uno è padrone della vita è anche padrone della sua fine. Nella Costituzione non c´è scritto che tutti i cittadini hanno il dovere di campare finché morte naturale non li fulmini».

Per uno che ha fatto politica per tutta la vita non è una fuga?
«No. È un giudizio definitivo sulla propria condizione, e sullo stato più generale delle cose, come se dicesse: per me, a 80 anni, non c´è più niente da fare».

Eretico in vita. Ed eretico in morte.
«La verità è che questo suicidio mi turba profondamente. Ho come l´impressione di non aver fatto abbastanza. Non mi sono arrabbiato abbastanza. L´ho subìto, insomma, e non me lo perdono».

 

LUCIANA CASTELLINALUCIO MAGRIVALENTINO PARLATO E LUCIO MAGRI Riccardo BarenghiRossana Rossandamarta marzotto - lucio magriLUCIO MAGRI