DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Estratto dell’articolo di Sergio Fabbrini per “il Sole 24 Ore”
Le elezioni che si terranno il prossimo 5 novembre in America definiranno il futuro di quel Paese, ma influenzeranno anche quello dell’Europa. Quelle americane sono le uniche elezioni nazionali che hanno conseguenze globali.
[…] Due iniziali osservazioni. La prima riguarda la campagna elettorale. La scelta della vicepresidente Kamala Harris come candidata del Partito democratico ha già modificato la dinamica politica della campagna elettorale […]. Nei suoi primi comizi, Kamala Harris ha parlato di futuro, mentre Donald Trump ha continuato a parlare del passato […].
Di fronte a Kamala Harris, Donald Trump è diventato in poco tempo il candidato “vecchio”, per età ma anche per stile politico. […] Trump ha subito iniziato a denigrare la sua rivale, storpiandone il nome, accusandola di non aver risolto il problema della sua identità razziale, sostenendo che essa non sarà mai presa in seria considerazione […]
Il suo candidato per la vicepresidenza, J.D. Vance, ha reiterato la posizione che aveva sostenuto tempo fa, ovvero che una donna che non ha figli (come Kamala Harris) non è legittimata ad assumere cariche pubbliche. Il festival della misoginia.
I populisti hanno una sola cifra comunicativa, il dispregio personale degli avversari […] i populisti hanno avvelenato i pozzi dove la democrazia si abbevera, quelli del dibattito pubblico decente e della competizione politica fair. Per Jan-Werner Müller di Princeton […] il populismo costituisce una sfida esistenziale alla civiltà politica […]. È necessario che venga fermato in America se si vuole fermarlo anche altrove (e soprattutto in Europa).
La seconda osservazione riguarda i programmi elettorali. Trump e Vance hanno ribadito la loro posizione unilateralista in politica estera e autoritaria in politica interna. In politica estera, Trump ritiene che l’America non abbia bisogno di alleati. Come ha scritto Stephen Walt di Harvard su Foreign Policy, «Trump sostiene che l’America può fare ciò che vuole e gli altri Paesi si piegheranno alla sua volontà».
Ammesso che ciò fosse plausibile nel “momento unipolare” degli anni Novanta del secolo scorso, esso è del tutto implausibile nel mondo di oggi (con la Cina sempre più assertiva, con la Russia sempre più aggressiva, con nuove potenze regionali, come il Brasile, il Sud Africa e la Turchia, sempre più influenti).
Anche se Trump insiste sulla necessità di imporre alti dazi doganali alle merci prodotte fuori dall’America, in particolare a quelle prodotte in Cina, è l’unilateralismo, prima ancora che l’isolazionismo, che connota il suo approccio alla politica internazionale.
Con Trump, la globalizzazione verrà messa nel cassetto, sostituita da accordi bilaterali tra l’America e l’uno o l’altro Paese. La guerra sulle tariffe ha sempre preceduto quella tra i soldati. Tale unilateralismo è congruente con l’approccio autoritario nella politica interna, basato sul ridimensionamento del Congresso, sul controllo presidenziale del Dipartimento della Giustizia, sul licenziamento dei diplomatici e militari di carriera che guidano i Dipartimenti di Stato e della Difesa, sul cambio radicale della leadership dell’intelligence.
Kamala Harris, invece, ha confermato l’approccio multilateralista della presidenza Biden, basato sul rafforzamento del sistema di alleanze dell’America nel mondo (a cominciare dalla NATO che ne rappresenta il perno).
Ha confermato il suo sostegno militare all’Ucraina, che Trump e Vance ritengano non sarà una priorità […]. Harris si è distanziata da Biden nella crisi medio-orientale, confermando l’impegno americano a sostenere Israele, ma anche denunciando gli abusi compiuti contro i palestinesi dal governo Netanyahu.
Il suo distanziamento da quest’ultimo è risultato eclatante, non presenziando al discorso tenuto dal premier israeliano al Congresso il 25 luglio scorso […]. Il multilateralismo di Kamala Harris è congeniale con una visione pluralista della democrazia interna, basata sul riconoscimento del ruolo del Congresso e sul sostegno alle strutture della presidenza dipartimentale.
È evidente che l’Europa abbia un interesse strutturale verso il multilateralismo, mentre l’unilateralismo porterebbe alla sua emarginazione. Il ritorno alle guerre tariffarie implicherebbe costi altissimi per i Paesi europei, che si sostengono attraverso le esportazioni. Così, come è evidente che l’America pluralista aiuterebbe a proteggere il nostro fragile liberalismo, mentre quella autoritaria aiuterebbe i nemici di quest’ultimo (interni ed esterni).
Insomma, se si guarda alle elezioni americane con occhi non-ideologici, occorre riconoscere che il populismo e l’unilateralismo della politica trumpiana contrastano con i valori democratici e gli interessi materiali dell’Europa integrata. Ma le ideologie, come sappiamo, sono dure a morire.
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