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TE LO DO' IO L'ANTIFASCISMO! – SCATTA IL REVISIONISMO (DA SINISTRA) SULLA RESISTENZA: SAGGIO DEL FRANCESE OLIVIER WIEVIORKA, RILANCIATO DA PAOLO MIELI – TESI DEL LIBRO: LA LIBERAZIONE AVVENNE GRAZIE AGLI ALLEATI, CHE AVREBBERO VINTO COMUNQUE CON O SENZA I PARTIGIANI - E IN FRANCIA FURONO TANTI COLORO CHE FINSERO DI ESSERE "RESISTENTI": LA TESI DI MASSIMO FINI

 

Gianluca Veneziani per Libero Quotidiano

 

PARTIGIANI MILITARI USA

A picconate, o a piccoli colpi di scalpello, il mito della Resistenza si va via via sgretolando, fino a ridursi a un cumulo di macerie. Ad abbatterlo non ci pensa più solo la revisione salvifica relativa al sangue dei vinti, ossia alle brutalità commesse dai partigiani a guerra finita, a mo' di vendette private o di epurazione sistematica dell' ex nemico: storia diventata patrimonio collettivo grazie all' opera di Giampaolo Pansa. Adesso scricchiola pure l' edificio della Resistenza come grande movimento di popolo, come insurrezione spontanea, immediata e partecipata, oltreché risolutiva, su cui a lungo si è basata la vulgata storica.

 

Olivier Wieviorka

Se anche questo mito aurorale della Resistenza mostra le sue falle, il merito è dello storico francese Olivier Wieviorka che ha appena dato alle stampe il documentatissimo saggio Storia della Resistenza nell' Europa occidentale 1940-1945 (Einaudi, pp.464, euro 35), analisi sull' effettivo contributo dei partigiani durante il conflitto e il loro reale peso politico e militare nei Paesi occupati. Ma il merito è anche dello storico Paolo Mieli che ieri, recensendo il libro di Wieviorka sul Corriere della Sera, è riuscito poderosamente a infrangere, su un grande giornale, quel conformismo che fa della Resistenza insieme un Totem da venerare e un Tabù, del quale non è possibile parlare (male).

 

AGIOGRAFIE SMONTATE

PARTIGIANI1

Leggendo Wieviorka, Mieli non esita a smontare quelle che lo storico francese definisce «agiografie», derubricando cioè l' azione dei partigiani europei, e anche italiani, a un contributo residuale ai fini della Liberazione. A lungo infatti, fa notare Wieviorka, è stato «sopravvalutato il ruolo svolto dalla dimensione nazionale della lotta comune» ed è stato «ritenuto che le resistenze locali potessero svilupparsi adeguatamente senza aiuti esterni».

 

Quasi fossero movimenti volontari, auto-finanziati e operativi grazie a una libera scelta insurrezionale In realtà, le cose andarono diversamente, sia perché la nascita di quei fronti di lotta fu sollecitata dal Soe (Special Operations Executive), organismo creato dagli inglesi al fine di fomentare la Resistenza; sia perché l' apporto dei partigiani fu pressoché irrilevante tanto che «con o senza Resistenza, l' Europa sarebbe stata liberata dalle forze angloamericane».

 

paolo mieli

Ma l' aspetto forse più interessante del saggio è che non ci fu, sin dagli albori in Europa, e tanto meno in Italia, l' insorgere di dissidenti pronti a darsi alla macchia né una risoluta «opposizione all' apparente inesorabilità della disfatta» nei Paesi occupati. Piuttosto, i governi di quegli Stati cercarono compromessi con il Reich e gli stessi popoli a tutto pensarono tranne che a mettersi subito in armi contro l' invasore. Smentita evidente della leggenda secondo cui sarebbe esistita una Resistenza implicita e silenziosa, nata nel momento dell' occupazione e poi sfociata nella Resistenza armata.

 

APATIA POLITICA DEGLI ITALIANI

Questo fu vero soprattutto in Italia, dove il movimento resistenziale tardò a manifestarsi sia per quella che Mieli definisce «apatia politica degli italiani» sia per una comprensibile mancanza di ardore che portava i nostri prigionieri di guerra a non voler rischiare la pelle per rovesciare il regime, sia per il consenso di cui - almeno fino al 1943 - il fascismo godette nel nostro Paese, al punto che molti soldati o cittadini consideravano un "tradimento" opporsi al governo vigente.

anpi partigiani milano

 

E infatti da noi gli angloamericani faticarono ad alimentare uno spirito ribellista e a mettere su gruppi di lotta armata. Wieviorka racconta di tentativi grotteschi, come quando si cercarono ribelli italiani in Nord Africa e in Svizzera, ma si trovarono soltanto «cospiratori da salotto»; o quando, non riuscendo a identificare una figura spendibile come leader dei futuri partigiani, la si trovò in un certo Annibale Bergonzoli, un generale che tuttavia presto si dimostrò «un ciarlatano di temperamento esaltato». Insomma, non la persona ideale nelle cui mani mettere le sorti d' Italia.

 

partigiani a montecitorio per i 70 anni dalla liberazione 4

È interessante notare come questa rilettura della Resistenza continui a essere portata avanti da studiosi esterni alla cultura di destra. Wieviorka, nipote di ebrei uccisi ad Auschwitz, collabora con un inserto del giornale di sinistra Libération; lo stesso Mieli, cresciuto negli ambienti della sinistra extraparlamentare, è stato allievo del grande Renzo De Felice, storico comunista, e nondimeno principale artefice della revisione sul fascismo. Come già nel caso di Pansa, la demitizzazione della Resistenza non può che partire da sinistra. Dove le menti più illuminate, ormai da tempo, si sono accorte che della Resistenza non resiste più niente.

 

 

 

2. IN FRANCIA FURONO TANTI COLORO CHE FINSERO DI ESSERE RESISTENTI
 

DE GAULLE ADENAUER

Scrivo a proposito dell' articolo di Massimo Fini apparso su Il Fatto di venerdì 30 marzo. Gli articoli di Fini finora li ho apprezzati e spesso anche condivisi. Questo invece, per quanto riguarda la sua seconda parte, m' ha suscitato uno stupore indignato ma anche addolorato. La prima parte è esplicita, è forte, è chiara, ma è fattuale. Il giudizio su Sarkozy è su dati precisi, e viene fondato e lo si condivide anche per quello che riguarda le implicazioni su Berlusconi.
 
Nella seconda parte schizzano invece invettive che paiono emergere solo da un risentimento di cui non si riesce a capire la ragione obiettiva e che fa pensare a qualcosa di emotivo e personale. Il giudizio storico su De Gaulle, sulla resistenza francese, sul significato dell' azione di Pétain, sulla cultura francese dal dopoguerra a oggi, sul presidente Macron mi risulta che sia molto più articolato, e non così immediatamente emotivo e negativamente tranchant come, purtroppo, quello di Fini. C' era, volendo, l' esempio della lettera di Sartre per dire di De Gaulle con un certo stile: quando il Generale gli scrisse per il Tribunale Russell chiamandolo "Cher maître", Sartre gli rispose che "maître mi chiamano alcuni camerieri (del Flore o dei Deux Magots) che sanno che scrivo". Luciano Del Pistoia

DE GAULLE

 
 
LA RISPOSTA DI MASSIMO FINI
 
Gentile Del Pistoia, Gerhard Heller, funzionario del ministero della propaganda nazista in Francia durante il governo Pétain, innamorato della cultura d' oltralpe e gran protettore degli intellettuali francesi, resistenti o presunti tali, riferisce che a denunciarli erano molto più i francesi dei tedeschi (La Rive Gauche, H. R. Lottman, Edizioni di Comunità). Albert Camus poté pubblicare per Gallimard Lo straniero, l' opera che gli avrebbe dato rinomanza mondiale, e Sartre portò a teatro Le mosche. Dopo la guerra gli intellettuali francesi divennero tutti resistenti, sia quelli che lo erano stati davvero come Albert Camus (Combat, da lui diretto, fu pubblicato clandestinamente a partire dal 1941) o che non lo erano stati affatto o in modo così timoroso che nessuno se ne era accorto, come Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir.

sartre foucalt

 
Benché io, come scrivo in quel pezzo, sia impregnato di cultura francese, sia quella esistenzialista sia quella, molto più valida, ottocentesca, e mia madre, russa, e mio padre, italiano, abbiano vissuto in esilio a Parigi fuggendo entrambi da due opposti totalitarismi e in casa parlassero francese, non è colpa mia se in Francia i nazisti si comportarono meglio di quei francesi che fingevano di fare la fronda, che anzi si scopersero 'resistenti' solo a babbo morto. In ogni caso preferisco i tedeschi ai francesi, odiosissimi sciovinisti quanto noi siamo autodenigratori. Heil Angela!

MASSIMO FINIsimone de beauvoir e jean paul sartre