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Ma sono nate prima le poltrone dei colossi pubblici come Enel, Eni, Poste e Finmeccanica, oppure quelle di governo e della politica? Formalmente le prime discenderebbero dalle seconde, anche se in questi giorni la Roma potentona fa finta di bersi la favoletta della nuova "commissione nomine" del Tesoro, con tanto di prestigiosi advisor internazionali.
I successori dei Conti e degli Scaroni li sceglieranno i famosi "saggi" e "il mercato". Certo, certo. Per pura convenzione, partiamo dalla politica. A decidere veramente le nomine della prossima primavera sarà una cabina di regìa informale composta da tre persone soltanto: Angelino Alfano, Enrico Letta e Matteo Renzi.
Un ruolo ce l'avrà ovviamente anche la coppia Andrea Zoppini-Giulio Napolitano, al loro posto di incontro dell'Hotel Bernini e Hotel Boston, ma solo in fase di scrematura delle candidature e di designazioni nel vasto mondo delle controllate.
E Silvio Berlusconi, nuovo Padre Riformatore riscattato dal Rottam'attore? Non toccherà palla per due motivi: troppo preso da se stesso, storicamente non gliene importa più di tanto e poi l'idillio della "profonda sintonia" con Renzie finirà presto. Presto quanto? Presto abbastanza, ha garantito Renzie a Lettanipote: "Appena la riforma sarà approvata dai due rami del Parlamento, stai tranquillo che per me Berlusconi torna un avversario". Insomma, questione di due mesi. E le nomine si fanno dopo.
Con tutto il rischio di azzardare previsioni con tanto anticipo (a Roma basta un avviso di garanzia al momento giusto e il candidato più forte salta in un minuto), ecco il borsino delle nomine. All'Eni, Paolo Scaroni dovrebbe spostarsi alla presidenza per cedere il posto di amministratore delegato a Claudio Descalzi, fidatissimo direttore generale. Ma Scaroni potrebbe anche non spostarsi, oppure dover accettare l'arrivo come ad di Vittorio Colao, trattenuto a Londra da un bottino di 50 milioni di stock options di Vodafone. Alla potrona più operativa del Cane a sei zampe mira però anche l'esperto Stefano Cao - anche Cao uscì dall'Eni per contrasti con Scaroni.
In Enel, l'ipotesi più probabile è che Fulvio Conti rimanga amministratore delegato per completare l'operazione spagnola (la fusione con Endesa); come alternativa, fare il presidente e come amministratore delegato salga il fedelissimo Luigi Ferraris, come già era Conti, attuale direttore finanziario del gruppo.
A Terna, difficile rottamare il più giovane della compagnia, ovvero l'ad Flavio Cattaneo, mentre Angelino Alfano e Maurizio Lupi potrebbero rifarsi con la poltrona presidenziale dell'eterno Luigi Roth.
Discorso più delicato per Poste e Finmeccanica. Con la "privatizzazione" in rampa di lancio, Letta e Saccomanni hanno convinto facilmente Renzie e Alfanayev che si può giusto cambiare il presidente multitasking Giovanni Ialongo (sempre se Bonanni dia il permesso: Ialongo è in quota Cisl), ma non certo Massimo Sarmi, che ci sta mettendo la faccia e si è anche svenato per Alitalia.
Nel colosso di piazza Montegrappa, per motivi analoghi, non pare logico segare Alessandro Pansa che sta "tagliando" il comparto civile per compattare il gruppo sulla difesa. Intoccabile anche il presidente Gianni De Gennaro, stessa età del trio Conti-Scaroni-SarmI, del quale però nessuno osa dire che è "giurassico" per rispetto di Re Giorgio.
E a proposito di anagrafe-canaglia, eccoci allo snodo più delicato. La cabina di regìa Letta-Alfano-Renzie ballerà una sola primavera. Il Rottam'attore, già prima dell'estate, tenterà nuove accelerazioni, in questo spalleggiato da un Napolitano che non vede l'ora di farsi da parte con i galloni di Profeta della Grande Riforma e salvatore della patria.
Renzie se la vedrà alle elezioni con il Banana o chi per lui. Alfano se la vedrà con le soglie di sbarramento e con il Banana stesso. E Lettanipote dove lo si può spedire? In Europa non siamo così forti da ottenere per il premier un posto di prima fascia e allora perché non mandarlo al Quirinale? Re Giorgio lo stima e se ne fida, Washington si sentirebbe garantita e Renzie benedirebbe volentieri un'operazione-gioventù. Il problema è che qui la gioventù è troppa: per essere eletti presidenti bisogna avere 50 anni e Letta ne ha 47. Tra tante soglie, il Renzusconi ha dimenticato quella più importante.
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