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Dino Martirano per il "Corriere della Sera"
I leader di tutti i partiti, quando mancano meno di due giorni all'inizio della camera di consiglio prevista per le 9.30 di mercoledì, attendono con trepidazione la decisione della Corte costituzionale sui due referendum in materia elettorale che hanno un doppio obiettivo: quello diretto di cancellare il «porcellum» (maggioritario con forte premio di maggioranza e liste bloccate) varato nel 2005 e attualmente in vigore e quello indiretto di rivitalizzare il «mattarellum» (collegi uninominali maggioritari con forte quota proporzionale) con il quale abbiamo votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Dall'esito della decisione della Consulta dipende infatti l'agenda parlamentare dell'ultimo scorcio della legislatura che si chiude nella primavera del 2013.
Sulla carta - fatta eccezione per l'Idv di Antonio Di Pietro che figura tra i promotori del referendum - tutti i partiti tifano in silenzio affinché la Corte decida per l'inammissibilità dei quesiti in modo da avere più tempo per promuovere in Parlamento quella riforma della «legge elettorale porcata» (ribattezzata così dal suo stesso autore, Roberto Calderoli della Lega) che a parole tutti auspicano. Se infatti la Consulta opterà per il sì, si andrà a votare in una domenica di giugno sempre che prima di quella data Camera e Senato non abbiano messo mano alla legge elettorale.
Tuttavia la giurisprudenza della Corte (anche con la sentenza 24 del 2011 sui servizi pubblici locali) fa dire a molti parlamentari (si sono molto esposti anche Gaetano Quagliariello del Pdl e Marco Follini del Pd) che passerà la tesi dell'inammissibilità : andrà così perché una legge cancellata non può dar luogo alla reviviscenza della normativa precedente. In altre parole, sostengono a bassa voce i partiti, non si può pretendere di rivitalizzare il «mattarellum» cancellando il «porcellum» perché si verrebbe a creare un vuoto legislativo che in materia elettorale non è ammessa.
Ecco allora che a Palazzo della Consulta (il relatore è il giudice Sabino Cassese) si ragiona su altre soluzioni. Una possibilità , ammette il costituzionalista Francesco Clementi, membro del comitato nazionale per i referendum, potrebbe essere quella che «la Corte bocci il primo referendum, che abroga interamente la legge elettorale, e ammetta il secondo che invece la smonta comma per comma».
Come dire, che «c'è differenza tra tagliare un albero con l'accetta oppure potare la stessa pianta lasciando il fusto». Ma c'è anche una terza via, ragiona il professor Paolo Armaroli, secondo il quale «in termini giuridici l'inammissibilità ci sta tutta». Eppure, aggiunge l'ex parlamentare, «la Corte potrebbe lanciare un avvertimento al Parlamento anche sollevando davanti a se stessa una questione di incostituzionalità su uno o più aspetti del "porcellum". Fissando però una data per la decisione molto lontana nel tempo...».
A questo punto, dunque, è stata accolta con favore la proposta di Vannino Chiti (Pd) di varare una mozione d'indirizzo per impegnare i partiti ad occuparsi in tempi brevi di legge elettorale e di riforme costituzionali. «La proposta - osserva Giampaolo D'Alia (Udc) - non è nuova ma è certo che, al di là della decisione della Corte, è arrivato il momento di mettere mano alla materia elettorale».
ANTONIO DI PIETRO
Giudici della Corte Costituzionale
sabino cassese
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