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LA PRIMA ROGNA PER DRAGHI È L'EX ILVA - LA PROCURA INDAGA SUI RITARDI E IL TAR DI LECCE HA ORDINATO LO SPEGNIMENTO ENTRO 60 GIORNI DELL'AREA DEL SIDERURGICO - A TARANTO CI SONO 13 MILA PERSONE APPESE A UN FILO, MA I DATI SU TUMORI E MALFORMAZIONI DOCUMENTANO COME L'ACCIAIERIA, COSÌ, SIA INSOSTENIBILE - IL CAMBIO DI ROTTA POTREBBE ARRIVARE DALLA TRANSIZIONE A FORNO ELETTRICO...
Giuliano Foschini per “la Repubblica”
Il governo Draghi ha un primo, delicatissimo, problema: l'ex Ilva. Il Tar di Lecce, sabato, ha ordinato lo spegnimento entro 60 giorni dell'area a caldo del siderurgico con una sentenza che l'azienda ha già annunciato di voler impugnare. Ma già nei prossimi giorni, se non ore, potrebbe accadere altro: l'impianto è sotto sequestro, con una facoltà d'uso dettata proprio dal cronoprogramma di interventi di ambientalizzazione che erano stati programmati. Quel programma, hanno scritto i giudici del Tar, è nei fatti saltato. E di questo non ha potuto che prenderne atto anche la Procura di Taranto.
Nelle prossime ore il pool di pm coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone prenderanno contatti con il custode, Barbara Valenzano, per capire il da farsi: la facoltà d'uso decisa dal tribunale potrebbe essere messa in discussione e così i tempi sullo spegnimento potrebbero accorciarsi, creando ulteriore confusione in una situazione già molto complessa.
Il governo Conte aveva stabilito l'ingresso di Invitalia nel capitale dell'ex Ilva accanto ad Arcelor Mittal. Il decreto del Mef, con il quale si stanziavano i 400 milioni necessari per l'operazione, era alla firma del ministro Gualtieri dopo aver ricevuto il via libera della Ragioneria ma in attesa di un parere dell'Avvocatura sulla natura dell'operazione: si trattava di un affare corrente?
Il punto è capire che vorrà fare ora il nuovo ministro dell'Economia, Daniele Franco, e il suo collega dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Che ieri ha avviato la prima interlocuzione con il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci. Che spiega: «La strada è strettissima: non ci sono alternative allo spegnimento dell'area a caldo. Su questo il Tar è stato chiarissimo, ma sono ancora più chiari i dati che abbiamo e che documentano come l'acciaieria, così, sia insostenibile».
Dicono però i sindacati che, in questo momento, lo spegnimento dell'area a caldo, «significa chiudere Ilva» spiega Giuseppe Romano, della Fiom. Che usa i numeri per spiegare la portata della cosa: «Ottomila e 200 dipendenti diretti di Arcelor Mittal, di cui tremila in cassa integrazione. Mille e 600 in cassa da due anni che fanno capo all'amministrazione straordinaria. Più i 3-4mila operai dell'indotto».
Tradotto: sono 13 mila persone, soltanto a Taranto, appese a un filo. I numeri a cui fa riferimento il sindaco sono invece quelli contenuti nelle 59 pagine di sentenza del Tar. «Sono stati registrati - si legge - 173 casi di tumori maligni nel complesso delle età considerate (0-23 anni), dei quali 39 in età pediatrica e 5 nel primo anno di vita. In età pediatrica si osserva un numero di casi di tumori del sistema linfoemopoietico totale in eccesso rispetto all'atteso, al quale contribuisce sostanzialmente un eccesso del 90 per cento nel rischio di linfomi, e in particolare linfomi NonHodgkin. Dei 22 casi di tumori del linfoemopoietico totale in età pediatrica 11 sono stati diagnosticati in età 5-9 anni».
Tra i 20 e i 29 anni c'è poi un «un eccesso del 70% di incidenza dei tumori della tiroide» ed ancora «i nati da madri residenti nel periodo 2002-2015 sono stati 25.853; nello stesso periodo sono stati osservati 600 casi di Malformazione Congenita, con una prevalenza superiore all'atteso calcolato su base regionale».
I giudici amministrativi ne hanno poi anche per la politica, compreso per l'ultimo governo Conte e il ministro dell'Ambiente, Sergio Costa: «È necessario - scrivono - dover stigmatizzare il fatto che a distanza di oltre un anno e mezzo dalle richieste di prevedere il monitoraggio di sostanze come naftalene e particolato PM10 e PM2,5 il relativo procedimento non sia stato ancora concluso e che il Ministero ne abbia ulteriormente differito la conclusione, consentendo nel frattempo la prosecuzione dell'attività».
Che fare, ora? Il sindaco Melucci è deciso: «O si cambia rotta subito o l'Ilva non può continuare a lavorare». Il cambio di rotta, per loro, ha un nome e cognome: «Transizione dell'area a caldo a forno elettrico», si legge in un appunto di un tecnico, che da qualche giorno è sulla scrivania degli enti locali.
L'ipotesi è quella di «fermare l'area a caldo, mediante un accordo di programma, passando ai forni elettrici che possono essere alimentati dal rottame, derivante in parte dalla demolizione degli stessi impianti dismessi». Qualsiasi strada si decida di prendere, il tempo non c'è più.
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