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FLASH! - OGNI GIORNO, UNA TRUMPATA: NON SI SONO ANCORA SPENTE LE POLEMICHE SULL'IDEA DI COMPRARSI…
Il Senatore Antonio Azzollini x
1. DAGOSPIA DEL 28 LUGLIO: SALVATE IL SOLDATO AZZOLLINI PER SALVARE IL GOVERNO RENZI
Dagoreport 28 luglio 2015
Attenzione! Provocazione! Dopo aver tanto sbandierato ai quattro venti che il Senato avrebbe lavorato dal lunedì al venerdì, e con ritmi da catena di montaggio, per smaltire quel po’ po’ di grandi riforme renziane che il paese aspetta impaziente per andare in vacanza con animo più lieto, proprio ieri, all’inizio dell’annunciato tour de force, il calendario di Grasso s’è ammosciato come un soufflè mal cucinato.
A Villa Arzilla di via del Senato è saltato per quattro volte (quattro!) il numero legale, tanto che poi la seduta numero 491 ha dovuto essere clamorosamente e inesorabilmente aggiornata ad oggi. Come mai? Tutta e solo colpa di quei lazzaroni di senatori che non sono abituati a lavorare di lunedì?
O forse non gli piaceva punto il decreto sugli enti locali che gli avevano piazzato ieri all’ordine del giorno, tanto che sulla votazione delle questioni incidentali se la sono svignata dall’aula per far mancare quattro volte di seguito (quattro!) il numero legale? A pensar male si fa peccato, come diceva il compianto senatore a vita Andreotti, ma molto spesso ci si indovina. Ed ecco qua il retroscena: domani, 29 luglio, l’aula di Palazzo Madama sarà chiamata a votare sull’arresto del senatore Antonio Azzollini di Area Popolare (provenienza Ncd), ex potente presidente della V commissione, la Bilancio.
Ricordate il crac della casa di cura delle suore della Divina Provvidenza, in cui il nostro, secondo i magistrati, ha avuto la sua bella parte? Quello che, secondo l'ordinanza d'arresto, alle suore diceva con grande eleganza: «da oggi in poi comando io, se no vi piscio in bocca»?
Ecco, quel signore lì.
In attesa del pronunciamento dell’aula, il bell’Antonio ha avuto il buon gusto di dimettersi da presidente della Bilancio. E intanto, nelle retrovie, Renato Schifani e Luigi Zanda, l’uno capogruppo (Ncd di rito non alfaniano) di Area Popolare e l’altro del Pd (renziano) hanno trovato l’accordo: salvare il soldato Azzollini per salvare il governo Renzi.
Ma domani se ne ricorderanno, in aula, i piddini? E obbediranno alla consegna di Zanda quelli più malmostosi? Nel dubbio, un qualche avvertimento non ci stava male. Governo avvisato…
2. PREMIER E ALFANO FIRMANO IL PATTO DEL NON ARRESTATO
Marco Gorra per “Libero Quotidiano”
La soluzione del caso Azzollini rappresenta uno dei rarissimi - almeno in politica - casi di situazione cosiddetta «win-win», ossia quella dove vincono tutti. Vince l’eroe eponimo della vicenda, il senatore alfaniano Antonio Azzollini, che scampa ad una richiesta di arresto di rara irragionevolezza; vince il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che al prezzo (tutto sommato pagabile) di una figura in bemolle con l’opinione pubblica evita di andarsi ad impelagare in una crisi di maggioranza con il Nuovo centrodestra dagli esiti imprevedibili;
vince Angelino Alfano, che da tutta questa storia esce rafforzato ai massimi livelli potendosi fregiare di avere costretto l’alleato di governo a sconfessare di fatto la pronuncia della Giunta per le autorizzazioni che aveva dato parere positivo all’arresto; vincono i partiti e i giornali di opposizione, che in periodo estivo di magra di notizie si ritrovano servito sul proverbiale piatto d’argento un bello scandalone della Casta come non se ne vedevano da tempo.
NUOVO PORTO DI MOLFETTA MAI REALIZZATO
Alla fine, gli unici a pagare dazio sono i rappresentanti dell’area più di sinistra del Pd, che della questione morale sono abituati a fare bandiera e soprattutto a fare argomento di propaganda presso i settori di elettorato più sensibili all’argomento. L’uscita con cui una imbarazzatissima Deborah Serracchiani si vede costretta a «scusarsi perché non abbiamo fatto una gran bella figura» vale da sola il prezzo del biglietto. E a poco serve la successiva correzione di tiro operata dall’altro vicesegretario pd Lorenzo Guerini al grido di «quando in gioco ci sono le persone si valutano le carte»: quella frittata ormai è fatta. E per quanto possa essere serio il contraccolpo di immagine, sparisce di fronte ai vantaggi reciproci dell’operazione.
Renzi può sorridere per due motivi:
1) il rinsaldato asse con l’alleato centrista lo mette in condizione di non doversi mettere a cercare voti fuori dal perimetro della maggioranza di governo e di minimizzare, almeno in prospettiva, l’impatto sia politico che mediatico dell’asse col nuovo gruppo formato da Denis Verdini;
orenzo Guerini Debora Serracchiani Luca Lotti Maria Elena Boschi b b adb c f a b ba MGzoom
2) essendo altamente ipotizzabile che l’ordine di scuderia di votare secondo coscienza non sia stato impartito senza corrispettivi, c’è serio caso che alla ripresa dell’attività parlamentare l’atteggiamento di Area popolare su eventuali provvedimenti sensibili che dovessero arrivare in Aula (il pensiero non può che correre al capitolo diritti civili e unioni di fatto) sia meno incompromissorio di quanto si possa prevedere. Ma se Renzi ride, Alfano non piange. Il dividendo politico intascato dal ministro dell’Interno è, se possibile, ancora maggiore di quello spettato al capo del governo.
Assistere inerme alla consegna di un proprio senatore alle patrie galere sarebbe stato un colpo di immagine durissimo da incassare, ed avrebbe confermato negli ex soci di centrodestra i peggiori sospetti circa il carattere ontologicamente in perdita dell’opzione governista operata dai centristi. Ad Azzollini salvo, invece, il paradigma si rovescia: Alfano passa all’incasso ed esce, specie agli occhi degli ex compagni di partito, rafforzato come non mai. Win-win, e pazienza per la Serracchiani.
2. SI PROCESSANO I REATI, NON LA POLITICA
Maurizio Crippa per “il Foglio”
L’estetica non fa politica. Altrimenti il senatore Antonio Azzollini, che al voto del Senato ha fatto tanto di lingua come Miley Cyrus, più che l’autorizzazione all’arresto si meriterebbe di essere inseguito con le frecce da un dentista di Trani, come il leone Cecil. Ma la politica non è estetica. Altrimenti tutta quella banda di mozzorecchi con la bava alla bocca che si è scatenata dopo il voto dell’Aula che ha detto no alla procura e ha pure smentito la giunta per le Autorizzazioni (189 contrari, 96 favorevoli e 17 astenuti) andrebbe buttata in un tracimante cassonetto dell’Ama fuori da Palazzo Madama.
In ordine di indecenza: “Una vergogna. Si è voluto salvare uno della casta”, Felice Casson, senatore del Pd (uscito dal gruppo). “Che tristezza. E’ nato il governo Renzi-Verdini-Azzollini”, Nichi Vendola. “Mi fanno schifo. Ieri tagliano due miliardi alla Sanità. Oggi salvano chi specula sulla nostra salute”, Luigi Di Maio del direttorio Cinque stelle, nonché vicepresidente della Camera. “Renzi e il Pd hanno calato le braghe per salvare le loro poltrone, che pena”, Matteo Salvini. Poi ci sono quelli cui la lingua corre veloce, rilevatrice di cattivi pensieri.
Maria Edera Spadoni, grillina: “Come è possibile che una maggioranza del genere ha deciso a voto segreto di non aiutare la magistratura?”. Già, com’è possibile? Compito della politica non è aiutarla, la magistratura? Chiedere a Montesquieu. O la senatrice dem Lucrezia Ricchiuti: “Non c’è nulla nelle carte che faccia pensare che i magistrati siano in malafede o che non abbiano rispettato la legge…”. No, proprio nulla. Ma per lei il problema è “l’immagine che diamo al nostro elettorato”.
La gazzarra di insulsaggini seguita alla libera decisione del Senato che ha negato l’arresto è, questa sì, un caso di malapolitica. Il voto che ha negato l’arresto del più volte presidente della commissione Bilancio (ora dimessosi) ed esponente di Ncd è invece forse un caso di buona politica. Perché il Senato non s’è piegato al primo brogliaccio spedito da una procura. Ma soprattutto perché bastava dare una sbirciata alle carte.
Carte in cui il gip Rossella Volpe scrive: “La circostanza che Azzollini, a differenza degli amministratori ufficiali dell’Ente, non abbia agito per interessi di natura economica… non impedisce di considerarlo componente dell’associazione a delinquere”. Non impedisce nemmeno di considerarlo un marziano, se è per questo. Si legge di “colpo di stato”, di “un feudo dominato dal senatore”. Fumus persecutionis? Più che altro, fumus. Della famosa frase sulla minzione dadaista rivolta a una suora non si trova conferma, è un puro “relata refero” relativo al 2006 o al 2007. Sufficiente per arrestare un senatore?
Il senatore pd Pietro Ichino, dopo aver precisato di avere in altri casi votato a favore dell’arresto di colleghi, ha spiegato per tabulas sul suo sito internet perché in questo caso non l’ha fatto: perché circa l’accusa di “avere operato come ‘amministratore occulto’ di una Congregazione religiosa… ho trovato negli atti giudiziari elementi di prova che definire evanescenti è dire poco”.
Perché persino il gip “riconosce esplicitamente l’assenza di qualsiasi lucro patrimoniale” dell’imputato. Perché l’unico movente sarebbero vaghi “interessi di tipo personale e politico”. E soprattutto perché “l’altro comportamento che viene imputato al senatore Azzollini consiste nell’essersi adoperato in Senato per l’approvazione di esenzioni fiscali delle quali la Congregazione stessa avrebbe beneficiato”. Cioè un atto politico.
Insomma non c’è nulla che giustifichi l’arresto, e auguriamoci che qualcosa giustifichi l’inchiesta. Ma quella, come ha detto Renato Schifani, può benissimo andare avanti. Un giorno da festeggiare, dunque, in cui il Parlamento ha dimostrato di saper difendere le sue prerogative (non “la casta”), anche in assenza dell’immunità che non esiste più, giudicando nel merito e non sotto la pressione degli ululati in Aula e di quelli a mezzo stampa. Ma prima di festeggiare, bisogna prendere nota di alcune cose.
Ad esempio che la storia recente dei voti sulla richiesta d’arresto per parlamentari è assai ballerina e raramente risponde alle logiche della pura “scelta di coscienza”. Le decisioni sui senatori Luigi Lusi (sì) o Sergio De Gregorio (no), Alberto Tedesco (no) o il deputato Alfonso Papa (sì) raccontano anche il peso delle convenienze politiche. Ma nel caso di Azzollini la verità è che tali convenienze, se ci sono, pesano meno.
La senatrice Ricchiuti s’è chiesta, retoricamente: “Che cosa è successo da quando in Giunta il nostro gruppo, che aveva letto le carte, ha votato a favore degli arresti domiciliari ad oggi? Cosa è cambiato?”, indicando come unica lecita risposta i nuovi assetti di maggioranza.
Claudio Tito, su Repubblica Tv, ha parlato di un “testacoda del Pd” nel tentativo di dimostrare la propria indipendenza dalla magistratura (un male?). Non è così. Riprendendo Ichino – con cui forse dovrebbe farsi una chiacchierata la democratica a cinque stelle Debora Serracchiani, governatore del Friuli Venezia Giulia e vicesegretario del Pd, che probabilmente senza aver letto un solo stralcio delle carte ha sentenziato, per non indispettire il popolo del web, che sul voto al Senato il Pd dovrebbe scusarsi – l’aspetto politicamente rilevante è che nell’impianto accusatorio c’era una “pretesa di mettere sotto controllo l’attività parlamentare”, fino all’anomalia “di un capo d’accusa che ha per oggetto principale l’attività legislativa di un parlamentare e che indica come movente del preteso delitto il puro e semplice interesse politico-elettorale del parlamentare stesso”. Se il Senato ha preso atto di questo, cioè della politica, allora è un bel giorno
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