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Da “Quando c’era Berlinguer” a “Quando ci sarà Veltroni”. Al Colle, ovviamente. Il prossimo film di Walter Veltroni ha per protagonista se stesso e nasce da un’idea di Marco Minniti. O meglio, l’idea a Renzi l’ha fornita il pelato sottosegretario con delega ai Servizi, in un’altra vita seguace di Max D’Alema e oggi fan dell’ex sindaco di Roma.
Minniti ha capito che il premier cerca un presidente della Repubblica che non gli faccia ombra, ma che questi ha in mente solo nomi troppo deboli per passare le forche caudine della minoranza piddina e di Forza Italia. Così gli ha proposto Veltroni, ricevendo un’accoglienza tiepida, ma certo non un rifiuto da parte di Pittibimbo.
WALTER VELTRONI E SILVIO BERLUSCONI
Del resto il premier spaccone ha un po’ le ossa rotte perché le dimissioni di re Giorgio sono state una sua sconfitta personale. Ha provato fino all’ultimo a convincerlo a rimanere al Quirinale, ma Bella Napoli non c’è cascato. Non gli andava di fare la bella statuina e in questo la nomina-beffa di Paolo Gentiloni a ministro degli Esteri è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.
I suoi amici e consiglieri più fidati, da Emanuela Macaluso in giù, gli hanno detto senza tante cerimonie che rischiava di diventare lo zimbello del furbetto di Rignano sull’Arno. E re Giorgio se n’è andato, complice anche il suo stato di salute, lasciando Renzie in mezzo al guado.
Sul taccuino del premier, l’ordine di preferenza per il Colle è Anna Finocchiaro, Sergio Mattarella, Piero Fassino e, appunto, Walter Veltroni. Ma la candidatura Finocchiaro è già caduta, un po’ anche per colpa di Dagospia. Le minoranze del Pd hanno infatti scoperto sul nostro sito che l’austera toga catanese era il candidato principe del Patto del Nazareno. Ma più in generale, la Finocchiaro non ha alcun peso internazionale, visto che di là dalle Alpi non la conosce nessuno.
Anche Fassino è un candidato debole e poco noto all’estero, nonostante un’esperienza da ministro del Commercio estero. Domenica s’è fatto invitare alla manifestazione di Parigi, ma non basta. Ancor più sbiadita la candidatura di quel galantuomo di Sergio Mattarella, che i berlusconiani ricordano perfettamente essersi battuto contro la legge Mammì sulle tv, arrivando a dimettersi per protesta da ministro.
Renzi si è quindi orientato a perseguire la strategia del “meno peggio” e questo spiega l’apertura su Veltroni.
GIANNI ALEMANNO GIANNI LETTA WALTER VELTRONI FOTO AGF REPUBBLICA jpeg
Minniti ha proposto il nome di Uòlter a Gianni Letta, ricevendone ovviamente una reazione entusiasta. L’idea di mandare al Quirinale il sommo padre del buonismo romano piace parecchio all’ex Eminenza azzurrina, che a dispetto dei 79 anni suonati sogna di installarsi anche lui tra i corazzieri per sette lunghi anni come segretario generale del Quirinale.
Letta-zio ne ha quindi parlato all’ex Cavaliere, che ha reagito con il suo noto pragmatismo. Anzi, con il più bieco dei materialismi. Dovete sapere che Berlusconi ha in mente solo le sue aziende e la prima risposta è stata una tirata sul fatto che però deve continuare la pace (al ribasso) sui palinsesti tra Rai e Mediaset, perché il Biscione non può permettersi nessunissima guerra commerciale e deve continuare a tagliare, tagliare, tagliare. Poi è andato all’altro aspetto concreto della partita sul Colle e ha chiesto a Letta come la pensa Veltroni sulla sua eventuale grazia.
Letta ha così avuto il mandato di organizzare, con la massima discrezione, un incontro a quattr’occhi tra Veltroni e il Banana per affrontare la madre di tutte le garanzie: la garanzia per Lui. L’incontro sarebbe probabilmente già avvenuto se l’ex segretario del Pd non fosse in Sud America.
Infine, ultime dal Prodino. Il professore bolognese ha pochissime chance perché è detestato tanto da Berlusconi quanto da Renzi. E lui allora punta alla poltronissima Onu, visto che a fine 2016 scade il mandato di Ban Ki-moon come segretario generale.
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