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Guido Santevecchi per il "Corriere della Sera"
La battaglia per il futuro di Hong Kong si combatte su Internet (per ora). Il movimento democratico dell’ex colonia britannica, tornata alla Cina nel 1997 ma sotto amministrazione speciale, ha lanciato un referendum online sul sistema elettorale. L’obiettivo è di ottenere che i cittadini possano scegliere liberamente i candidati alla carica di «chief executive», il capo del governo locale. E il risultato del primo giorno di votazione è stato imponente: già 400 mila dei sette milioni di hongkonghesi si sono espressi, secondo gli organizzatori.
Ma il sito web dei referendari ha anche subito un cyber-attacco tra i più massicci e sofisticati nella storia: con un bombardamento di «denial-of-service» gli hacker hanno tentato di far saltare il sistema. La consultazione durerà fino a domenica 29 e in città sono stati aperti anche una quindicina di seggi dove si può votare manualmente.
Nessuno dubita che dietro l’assalto degli hacker ci sia la mano di Pechino. Il referendum, che non ha valore legale, è infatti un tentativo politico per forzare la Cina a mantenere la situazione eccezionale di Hong Kong. L’ex colonia e piazza finanziaria globalizzata è governata sotto il principio «un Paese due sistemi», concordato nel 1984 da Deng Xiaoping e Margaret Thatcher prima della restituzione, avvenuta nel 1997.
In base a quel negoziato, fino al 2047 la Repubblica popolare cinese decide direttamente solo sulla politica di difesa ed estera di Hong Kong; il resto, dal sistema giudiziario alla pubblica istruzione, alle scelte economiche, alla libertà di stampa, resta affidato al governo locale presieduto dal «chief executive».
Nel 2017 è in programma l’elezione dell’esecutivo hongkonghese: a suffragio universale, un uomo un voto, un sistema che nel resto della Cina è sconosciuto, un tabù. Ma per non correre il rischio di dover accettare un esperimento di vera democrazia, Pechino ha annunciato che la gente di Hong Kong non potrà scegliersi i candidati: questi saranno sempre selezionati da un comitato di maggiorenti e notabili controllato dalla madrepatria. La decisione finale sulla legge elettorale è prevista per la fine dell’estate o l’inizio dell’autunno.
E di fronte alla sfida rappresentata dal referendum e dal movimento Occupy Central che minaccia di paralizzare il distretto finanziario e commerciale di Hong Kong, la Cina ha appena pubblicato un Libro bianco che decreta la fine dell’illusione sui «due sistemi». Il documento ricorda che «l’alto grado di autonomia di Hong Kong non è un diritto ereditario, ma una pura concessione del governo centrale.
hong kong referendum non ufficiale
I candidati alle elezioni debbono essere patriottici e amare la madrepatria». Lo stesso monito al patriottismo cinese è stato lanciato a giudici e avvocati dell’isola, che ora sono indipendenti. Il Libro bianco rivela che il presidente Xi Jinping ha evidentemente cambiato politica: non considera più Hong Kong la vetrina della promessa «un Paese due sistemi» che avrebbe dovuto convincere alla lunga anche Taiwan a rientrare nella madrepatria. La vetrina può essere presa a martellate perché la Cina ormai è così potente da poter forzare qualsiasi tipo di accordo.
Il professor Joseph Cheng che insegna scienze politiche alla City University spiega al Corriere : «A che serve accettare il principio “un uomo un voto” se poi alla gente viene proposta l’alternativa tra una mela bacata e un’arancia marcia?». Le dichiarazioni di Pechino però non lasciano spazio a queste ambizioni. «Se la Cina è disposta a pagare un prezzo, in termini di credibilità internazionale, può sicuramente avere tutto quello che vuole», ci dice il professore, ma conclude: «Alla fine dei conti, io mi batto per la mia dignità, se perderemo posso emigrare a Taiwan, o in Canada».
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