RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
1 - CONTE LAVORA AL TER MA RENZI VUOLE PRIMA LE SUE DIMISSIONI
Tommaso Ciriaco per "la Repubblica"
Magari non al buio, ma si procede nella penombra. Per un giorno intero la crisi viaggia sulle montagne russe. Al mattino il rimpasto sembra a portata, nel pomeriggio l' ottimismo si schianta sul vero, unico nodo di questa sfida: Matteo Renzi - che commenta «finora non ho ottenuto nulla» - pretende le dimissioni di Giuseppe Conte, il capo dell' esecutivo non si fida perché teme che non manterrà la parola data. Accetta solo sostituzioni mirate, preferisce evitare di rimettere il mandato. A sera, tornano in campo addirittura i responsabili.
Secondo l'ultima conta considerata attendibile a Palazzo Chigi, ne basterebbero altri sei per bilanciare al Senato l' eventuale defezione dei renziani. Il segnale di un nuovo ostacolo lungo la via della pace. La fotografia di un timore avvertito anche da Sergio Mattarella. Il Quirinale, in queste ore, è preoccupatissimo per lo stallo. E teme che si apra una crisi al buio, destinata quindi ad avvitarsi.
È ovvio che i contatti telefonici si sprecano. I leader si parlano a coppie, su Zoom. Gira voce che Dario Franceschini abbia sentito anche Renzi. E domandato se davvero ambisca agli Esteri, ricevendone una risposta che sembra andare in quella direzione. L' effetto, comunque, è caotico. C' è uno schema che ha in mente il presidente del Consiglio, sempre che glielo facciano portare avanti. Prevede che il 7 gennaio il testo del Recovery venga inviato alle Camere dopo essere transitato (possibilmente senza un voto) dal consiglio dei ministri. Poi, entro domenica 10 o lunedì 11 gennaio, il rimpasto.
Già si ipotizzano cambi di caselle mirati, ovviamente: Renzi ministro degli Esteri e Luigi Di Maio al Viminale al posto di Luciana Lamorgese (ma è uno schema che il grillino nega e che comunque non gradisce, trovandosi a suo agio alla Farnesina). Oppure Ettore Rosato alla Difesa e Lorenzo Guerini all' Interno (di certo il dem può soltanto salire di posizione, visto il suo peso in questa maggioranza e nell' esecutivo). Neanche questo schema sembra funzionare, anche perché Lamorgese è da sempre giudicata vicina al Colle. Oppure, ancora, Andrea Orlando vicepremier o sottosegretario al Recovery e Maria Elena Boschi alle Infrastrutture o allo Sport.
Gira di tutto, appunto. Ma nessuno fa i conti con la realtà: manca la fiducia. E senza aprire una crisi è anche complesso ottenere le dimissioni dai ministri a cui si vuole chiedere un sacrificio. E quindi sempre alle dimissioni di Conte si torna, inevitabilmente. Pilotate con un patto blindato, con tempi che però nessuno riesce a prevedere, oppure al buio? A dispetto dei sondaggi poco esaltanti, la decisione è soprattutto in mano a Renzi.
Di certo c' è che il leader di Iv in pubblico continua a giocare sul filo «a palazzo Chigi c' è un presidente del Consiglio alla volta e si chiama Conte, Draghi è una persona straordinaria per questo Paese, speriamo cambino il Recovery seguendo i suoi suggerimenti» - mentre in privato propone di cambiare l' avvocato e sostituirlo con l' ex presidente della Bce. «Il Conte ter? Per me - sostiene con gli ambasciatori - ha il 25% di possibilità ». È una guerra di nervi. Tutti alzano la posta, chi si ferma prima è perduto.
Ma se non si ferma nessuno, finisce male per tutti. E quindi Zingaretti difende Conte, ma non nomina le elezioni.
Di Maio resta sotto coperta, al massimo sostiene che cambiare Conte è follia, così come votare. Renzi giura, appunto, che anche il Conte ter lo convince il giusto, non di più. E il premier sembra non aver del tutto accantonato neanche il piano C, se dovessero fallire rimpasto e crisi pilotata: la stessa maggioranza ma senza Renzi, sostenuto da qualche responsabile. Ne mancherebbero come detto sei, perché tre o quattro senatori di Italia Viva sembrano orientati a non passare in ogni caso all' opposizione.
E dire che sui temi qualche passo avanti si registra. Aumenta la quota di investimenti previsti nel Recovery, ad esempio. E anche sul Mes si scorgono spiragli che potrebbero portare l' esecutivo a chiederne almeno una quota, magari un terzo dei 36 miliardi opzionabili. Ma i temi contano relativamente, in questa partita. In fondo, la crisi travolge l' esecutivo proprio nelle ore in cui la pandemia costringe mezza Europa al lockdown totale.
2 - IL GRAN BALLO DELLE POLTRONE RISCHIANO LE MINISTRE M5S MA ANCHE AMENDOLA
Annalisa Cuzzocrea per "la Repubblica"
Immobili come statue di sale. O come damigelle vittoriane, in attesa che un pretendente offra il secondo ballo. Perché la regola di ogni crisi, per un esponente di governo, è agitarsi il meno possibile. Chi lo fa, è perduto. E così anche le ministre date più in bilico - donne, quasi tutte, il che crea un problema non da poco - continuano a lavorare come se niente fosse. Non fanno domande sul loro destino. A chi potrebbero chiedere, del resto, se non si capisce bene chi, nei prossimi giorni, darà davvero le carte? Chiamare il presidente del Consiglio in cerca di rassicurazioni avrebbe poco senso, dal momento che le ipotesi di un Conte ter seguono un borsino impazzito che cambia a ogni rialzo di posta.
Paradossalmente, sono i ministri pd più vicini al premier, quelli che in queste ore hanno più da temere. Perché se la logica che prevarrà sarà quella di un governo rafforzato dal punto di vista politico, sarà più forte chi è rimasto maggiormente fedele agli organismi dirigenti dei partiti di chi ha seguito la via contiana del populismo gentile.
Ci sono però dei punti fermi. Roberto Gualtieri, considerato molto in sintonia con il premier, non dovrebbe essere toccato mentre ha in mano i destini del Recovery Plan. Così come il ministro della Salute Roberto Speranza, in piena pandemia. Luigi Di Maio giura di non aver alcuna intenzione di lasciare gli Esteri, dove sta costruendo un percorso che non vuole interrompere.
LUCIA AZZOLINA - MOSTRA Dal libro Cuore alla lavagna digitale
Neanche se a chiedere quel ruolo fosse Matteo Renzi in persona, in cerca di un rinnovato accreditamento per un futuro nella Nato. O se dovesse reclamarlo per la fedelissima Maria Elena Boschi, il cui nome è per ora protetto da ogni candidatura (si fa solo quello di Ettore Rosato, di Iv, ma i nomi che si tacciono sono quelli che non si bruciano).
Giura di non voler mollare, Di Maio, anche se l' alternativa fosse il posto di Luciana Lamorgese all' Interno, altra donna in bilico insieme alle responsabili dei Trasporti Paola De Micheli (Pd), del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S) e dell' Innovazione Paola Pisano, entrata a suo tempo in una quota Casaleggio che adesso ben pochi dei governisti 5 stelle hanno voglia di proteggere. (Giurano invece, almeno per ora, di volerlo fare con la ministra della Scuola Lucia Azzolina).
maria elena boschi matteo renzi
In alternativa a Di Maio, potrebbe passare al Viminale - lasciando il suo posto sempre a Renzi, Boschi o Rosato - il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha però passato un anno a costruire relazioni internazionali delicate. Tra i dem a rischio ci sarebbe il ministro per le Politiche europee Vincenzo Amendola, che potrebbe ripiegare su una candidatura a sindaco di Napoli (proposta giunta alle sue orecchie come a quelle del ministro dell'Università Gaetano Manfredi, altro "tecnico" in bilico, e allo stesso Costa).
Dario Franceschini Lorenzo Guerini
Ma davvero, c' è un problema di quote rosa, togliendo il Mit a De Micheli, unica donna dem del governo. Perché per entrare, stando alle ultime candidature, sono in fila soprattutto uomini: il consigliere Goffredo Bettini, uno degli ideologi dell' attuale alleanza; il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, che potrebbe tornare magari proprio ai Trasporti; il vicesegretrario Andrea Orlando, che invece lascerebbe volentieri la Giustizia, già amministrata, al capodelegazione M5S Alfonso Bonafede, considerato inamovibile dai suoi seppur spesso sotto attacco - per ritagliarsi un posto a Palazzo Chigi, da sottosegretario alla presidenza o da vicepremier.
Non c' è un Pd, in quelle stanze, e questo è uno dei primi vuoti che i dem intendono colmare. Con buona pace del M5S Stefano Buffagni, che da viceministro del Mise sarebbe volentieri passato a sostituire Riccardo Fraccaro nel ruolo che fu di Giancarlo Giorgetti ai tempi del Conte uno.
Quanto alla delega ai Servizi, se Conte si decidesse davvero a cederla, sarebbe per affidarla a qualcuno di completa fiducia (opzione contro la quale perfino Renzi non potrebbe dire nulla). E quindi sono in lizza l' attuale sottosegretario Mario Turco, M5S che dovrebbe però lasciare la delega alla programmazione economica e agli investimenti; il segretario generale alla presidenza del Consiglio Roberto Chieppa oppure il capo di gabinetto Alessandro Goracci.
giuseppe conte vincenzo amendola
Ma in caso di governo nuovo con la stessa maggioranza, che sia o no un Conte ter, se davvero a muoversi saranno molte caselle, la corrente Di Battista del Movimento chiederà un posto provando a sfruttare la sua quota di parlamentari: difficile possa ottenerlo chi considera l' intesa con il Pd la morte nera, ma non si sa mai, quando tutto balla.
Così come spingono per salire qualche gradino sottosegretari rampanti come Buffagni, Laura Castelli o Giancarlo Cancelleri. In bilico la posizione di Vincenzo Spadafora, abile, ma inviso a parte dei gruppi parlamentari. Mentre potrebbe cambiare posizione, ma restare comunque dentro, il minstro allo Sviluppo Stefano Patuanelli. Catalfo e Pisano vengono date in uscita, più solida pare la posizione di Azzolina Tra i dem scricchiola De Micheli Non è più blindato Spadafora.
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