DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
Carlo Bertini per “la Stampa”
Matteo Renzi e berlusconi Franco Bassanini e Giuliano Amato
Il fischio di inizio delle grandi manovre suona alla vigilia delle dimissioni di Napolitano: una cinquantina di democristiani capitanati da Beppe Fioroni invadono un ristorante vista Pantheon per sponsorizzare la candidatura di Sergio Mattarella con l’ospite d’onore Lorenzo Guerini e altri renziani vicini a Delrio come Richetti e Rughetti; mentre i «giovani turchi» con il ministro Orlando nello stesso momento siedono cinquecento metri più in là vicino Fontana di Trevi. Il fischio di inizio ufficiale lo suona invece alle otto del mattino Matteo Renzi, che riunisce la segreteria per fissare alcuni obiettivi - coinvolgere tutto il Pd e farcela alla quarta o quinta votazione quando bastano 505 voti.
Il fattore Prodi
Due ore dopo, tutti escono alla spicciolata e il premier si intrattiene sulla terrazza del Nazareno con alcuni dei fedelissimi per sondare gli umori. Scambio di pareri su alcuni candidati possibili, Renzi ascolta le preferenze per l’uno o per l’altro, registra il fatto che a Forza Italia non dispiacerebbe Giuliano Amato. Quando si evoca il nome certo meno gradito ai berluscones, cioè Prodi, il premier glissa e segnala il pericolo che possano ripartire «i 101». Un rischio troppo grosso.
La guerriglia di Bersani
Poi Renzi si sposta a via di Ripetta alla presentazione di un libro sulla corruzione di Giavazzi-Barbieri con Raffaele Cantone: pungolato dalle domande di Mario Calabresi evita però di scoprirsi sui nomi: «Sarà un grande arbitro che aiuterà il Paese a crescere, sarà custode e garante dell’unità nazionale», così come sulla possibilità che il magistrato anti-corruzione rientri nella rosa dei papabili.
L’altro fischio d’inizio lo suona Bersani. Chiede perché Renzi punta «alla quarta votazione e non alla prima quando ci sono tutti-tutti?». Agli occhi dei renziani è una minaccia che evoca lo spettro più temibile: che alle prime tre votazioni possa saldarsi un asse anti-Berlusconi di minoranze Pd, Sel-5Stelle e fittiani, che al posto della scheda bianca potrebbero indicare Paola Severino o Romano Prodi, rendendo poi difficile una marcia indietro al quarto scrutinio.
E che la guerra sia cominciata lo dimostra pure la minaccia dei bersaniani in Senato, una trentina, di non votare l’Italicum di fronte al niet di Renzi sulle preferenze. Tanto che viene sconvocata la riunione del gruppo Pd di oggi dove avrebbe dovuto esserci il premier e rinviata a lunedì in cerca di un’intesa sulle liste bloccate che eviti di esacerbare il clima sul nodo Quirinale.
Avviso ai naviganti
In serata arriva febbricitante, «niente di che un po’ di influenza», alle Invasioni Barbariche. La Bignardi lo incalza a dovere e lui non si sottrae: comincia con un tributo a Napolitano «se c’è un artefice delle riforme è lui». Poi lancia l’avvertimento all’ex Cavaliere. Fuoco di fila di domande: deve essere un nome del Pd? Berlusconi dice che non vuole uno di sinistra? «Ce lo eleggiamo da soli. Diamoci tutti una calmata. Nessuno ha il diritto di mettere veti, neanche il Pd. Basta con questa logica delle bandierine. Non si può immaginare che il presidente della Repubblica sia la figurina di un partito». A scanso di equivoci lo ripete: «Vorrei essere chiaro: nessuno mette veti. Non Forza Italia, non Salvini e nemmeno il Pd.
renzi berlusconi in ginocchio da te
Un atteggiamento “o così o pomi’’, come quella pubblicità, non ha senso. Io sono per eleggerlo con leghisti, sel, grillini». Nomi? «Io ho in mente una persona che sia arbitro. Ma ne abbiamo tanti in mente». Poi arriva la parte più soft, sul libro di Ferrara: dicono che sia cattivo, vero? «Buono buono non sono, sono medio. Giocavo da mediano, se c’è da tirare una pedata la tiro, ma la prendo anche e sto zitto. In politica però la differenza sta se sei capace o no». Mia moglie? «È molto intelligente e molto bella, ma non lo deve dire Ferrara, lo dico io».
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