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Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Bisogna aspettare e sperare che la cascata di intercettazioni sul fratello e il padre di Angelino Alfano si fermi o perlomeno si rivolga altrove. A Palazzo Chigi nessuno nasconde la preoccupazione, «sarebbe impossibile - fanno notare - gestire questo caso come quelli di Lupi e Guidi», ministri dimissionari sebbene non indagati.
«Se cade Alfano, cade il governo, è ovvio », dicono nelle stanze del premier. E se il governo si dimette, secondo il premier e i suoi collaboratori, non ci sono alternative: «andiamo alle elezioni», rinviando il referendum costituzionale.
Dunque, Matteo Renzi ha costituito una vera “unità di crisi” per seguire la vicenda giudiziaria che coinvolge il ministro dell’Interno e la bufera che spazza il suo piccolo partito, l’Ncd , al Senato dove almeno 8 parlamentari centristi sono pronti a togliere i loro voti alla maggioranza, stanchi di non aver promesse sul futuro da parte del Pd. A loro si aggiungerebbero altri 5 senatori di Ala: una catastrofe numerica che diventerebbe presto politica.
La linea scelta è quella del garantismo assoluto, una linea renziana rafforzata in questo caso dal pericolo di una tempesta perfetta. Il leader del secondo partito di governo e il titolare del Viminale non possono essere sacrificati senza conseguenze. Al capogruppo Ettore Rosato viene affidato il compito di difendere Alfano dai 5 stelle che ne chiedono le dimissioni: «Sta facendo bene il suo lavoro e la sua correttezza non è in discussione».
A Emanuele Fiano viene chiesto di tenere la barra dritta in tv. «Le intercettazioni vanno avanti da oltre un anno. Se fosse emerso qualcosa sul ministro sarebbe indagato anche lui», dice a In Onda su la7 usando un argomento in più. Renzi guarda il quadro generale e sceglie la strada della difesa a oltranza anche per stoppare la fronda nel Nuovo centrodestra.
Alfano non può essere “mollato” ora, servirà anche a rallentare l’azione dei senatori dissidenti. Si vive alla giornata, ma si osserva il calendario. Renzi sa che la data dell’incidente è già fissata: martedì prossimo, nell’aula di Palazzo Madama.
Quel giorno va in votazione la riforma del bilancio degli enti locali. Non è il voto di fiducia ma un voto particolare. Serve infatti la maggioranza assoluta anzichè quella dei presenti: 161 Sì. La prova del nove per il governo che deve contare su tutte le sue forze. Se va sotto, il segnale arriva forte e chiaro.
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Renzi può affrontare la situazione con strumenti diversi. Da giorni, anche pubblicamente (in direzione), Dario Franceschini gli suggerisce la modifica dell’Italicum. Naturalmente, non basta parlarne sotto banco promettondola dopo il referendum. Ai centristi serve un annuncio solenne, ufficiale prima dell’estate. Basterebbe? Non è detto, ma è una mossa.
L’altra, molto più aderente allo spirito renziano, è accettare la sfida minacciando il voto anticipato, anzi le elezioni politiche subito, magari facendo slittare il referendum di ottobre.
È una delle capriole che il premier considera più efficaci facendo leva sul calcolo personale dei parlamentari che puntano a restare al loro posto fino al 2018, scadenza naturale della legislatura. Capriola che funziona perché Renzi ha dimostrato di saper rovesciare il tavolo. Ma deve fare i conti con la decisione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il capo dello Stato non intende fare pressioni sulle modifiche della legge elettorale, modifiche che toccano al Parlamento. E soprattutto non prende in considerazione piani B, visto che il governo c’è e si trova nella pienezza dei suoi poteri. Per ora.
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