DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Roberto Petrini per "La Repubblica"
Nervi saldi, partita lunga. Ma la sortita di Bruxelles non è stata senza contraccolpi e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha commentato aspramente con i suoi, alle prime notizie sulla bocciatura dell'Italia: «Sapevamo che i numeri non erano quelli che raccontava Letta, ma siamo gentiluomini e non abbiamo calcato la mano. Ora dobbiamo correre: se è vero che i mercati hanno fiducia in noi, è vero anche che non possiamo scherzare».
A cominciare da lunedì prossimo quando il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, si presenterà a Bruxelles per l'Eurogruppo. Il governo ha già una strategia in cantiere, il Tesoro sta lavorando alla cosiddetta due diligence, il check dei conti pubblici per verificare i reali margini di manovra. Ma la strada è in salita. Nulla trapela, si immagina tuttavia una risposta a doppio binario: uniformarsi alle pressioni dell'Europa e al tempo stesso rilanciare la crescita e dare munizioni al ciclone-Renzi.
Operazione complicata. L'unica chiave sta nelle aperture giunte dall'Europa dove sia il Commissario Olli Rehn sia il presidente dell'Eurogruppo Jeroem Dijsselbloem hanno fatto capire che lo scambio flessibilità dei conti contro riforme è praticabile. Così l'accelerazione di Renzi, che mercoledì prossimo vuole varare il jobs act, rientra nella strategia complessiva.
Si ragiona che accanto alla riforma del mercato del lavoro, potrebbero entrare nel «pacchetto riforme» da portare a Bruxelles, anche l'abolizione delle Province (promossa dall'attuale segretario alla Presidenza Delrio), la delega fiscale (con la lotta all'evasione e i tagli delle agevolazioni fiscali), l'istituzione dell'Ufficio parlamentare di bilancio voluto dal Fiscal compact (il cui esame è partito ieri in Parlamento), il pagamento dei crediti vantati dalle imprese dallo Stato (cui il vecchio governo attribuiva un effetto sul Pil di 0,7 punti di Pil).
Bussando alla porta con questo fardello non è escluso che si possa rilanciare la trattativa sulla «clausola di flessibilità » per gli investimenti pubblici e andare anche oltre: almeno portare il rapporto deficit- Pil, oggi già al 2,6 per cento (secondo la Ue) fino al tetto del 3 per cento. Circa 3-4,5 miliardi sotto forma di progetti infrastrutturali confinanziati. Nella partita dei Fondi europei, unica risorsa certa al momento, andrebbero anche i 2 miliardi per la scuola e la «garanzia giovani» per cui sono spendibili circa 1,5 miliardi. Tutto da inserire nel Piano Nazionale di riforme che dovrà essere presentato a Bruxelles tra due mesi, entro il 30 aprile.
Convinzione comune è anche che la questione del cuneo fiscale non può più essere rinviata: taglio di Irpef e Irap sul costo del lavoro. Come propone la Confindustria, con uno scambio tra taglio degli «sconti» alle imprese, contro riduzione del costo del lavoro. O con altre modalità . Comunque si ragiona dai 5 ai 10 miliardi, in un anno, o spalmati sul biennio.
Ma le risorse necessarie sono molte di più dei margini che, anche nella migliore delle ipotesi, può concederci Bruxelles tenendo conto della richiesta di ieri di un avanzo primario del 5 per cento. La parola d'ordine dunque è spending review, anche se il passaggio è stretto: già 3 miliardi sono di fatto impegnati per quest'anno e si può tentare solo di aggiungerne un paio.
Si può tuttavia giocare la carta della riduzione della spesa per interessi che si fa ogni giorno più concreta: lo spread è sceso ieri a quota 180, vicino ai minimi storici. Significa 3 miliardi che possono essere utilizzati con una variazione dei conti in occasione del varo del Def entro il 10 aprile. L'operazione di rientro dei capitali è sempre un punto interrogativo, ma la possibile chiusura dell'intesa con la Svizzera potrebbe portare, come stimò il governo Letta, circa 3 miliardi.
Ci sono poi partite aperte come le privatizzazioni (per ridurre il debito), l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie (sul quale la maggioranza è tuttavia divisa). Senza contare l'1,5 miliardi che darà in termini di gettito fiscale la rivalutazione delle quote di Bankitalia nei bilanci delle banche. Ma la corsa non è in pianura: perché spese inderogabili, dalla cig alla sanità , sono in attesa.
MATTEO RENZImatteo renzi e angela merkel MATTEO RENZI ROBERTO GIACHETTI FOTO LAPRESSE SACCOMANNI E LETTA il palazzo della commissione europea a bruxelles Jeroen Dijsselbloem Jeroen Dijsselbloem bankitalia
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