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Maria Teresa Meli per "Corriere della Sera"
Renzi è reduce da un'altra vittoria. La legge elettorale, grazie anche alla durissima battaglia di Giachetti, andrà in aula il 27 gennaio, Alfano o non Alfano. Il leader del Ncd voleva trascinare la vicenda fino alla prima metà di febbraio, ma non ci è riuscito. Anche questa volta il segretario del Pd ha imposto la sua «road map». Come l'ha imposta a Letta che avrebbe voluto vederlo già ieri. Il sindaco di Firenze si è rifiutato di accelerare i tempi di questo incontro. Fosse per lui, il colloquio con il presidente del Consiglio verrebbe rinviato a dopo la direzione di giovedì prossimo.
Il segretario ritiene che sia inutile vedere il premier prima che il Pd abbia preso una sua posizione ufficiale sui tanti argomenti sul tappeto. E l'insistenza di Letta ha contribuito ad allontanare la data dell'incontro, anziché avvicinarla, perché, come ha spiegato più volte il sindaco ai suoi: io non mi faccio dettare l'agenda da nessuno, è il Pd, il partito di maggioranza, che deve dettarla.
Tra l'altro Renzi ha una carta in più da gettare sul tavolo della trattativa, quando e se mai ce ne sarà il bisogno. L'accordo con Fi, con la Lega e con Sel, e quello, possibile, con i 5 stelle. Se Renzi optasse per il Mattarellum avrebbe dalla sua sia Berlusconi che Vendola, che Maroni. E non solo. Sarebbe assai difficile per Grillo spiegare il suo «no» al Mattarellum.
Ma da che trae tutta questa sicurezza il leader del Pd? Gli esponenti di Forza Italia sostengono che la ragione di questo atteggiamento è semplice: il sindaco ha già l'accordo con Berlusconi in tasca. Ieri mattina è stato il senatore di Fi Augusto Minzolini a mettere tutti sull'avviso, alla trasmissione di Myrta Merlino, L'aria che tira : «Renzi e il Cavaliere potrebbero essersi già incontrati».
Parole pronunciate non a caso, perché come riporta Panorama , nella rubrica di Kaiser Sosa (lo pseudonimo dietro cui si cela un parlamentare vicino a Berlusconi), il Cavaliere ha già spiegato ai suoi: «Renzi ci ha detto direttamente, vis à vis, che se a Fi sta bene il sistema spagnolo, allora va bene anche a lui. Vediamo se manterrà questa posizione: comunque l'unico sistema che ci vede assolutamente contrari è il doppio turno». E infatti il Cavaliere ha detto che, alla fine, il punto di ricaduta potrebbe essere il Mattarellum. E non è un caso che il pd Nardella dica: «I paletti di Brunetta sono simili ai nostri».
Dunque, stando a quello che si sente dire dalle parti di Forza Italia l'incontro tra Berlusconi e Renzi ci sarebbe già stato. E c'è chi indica anche una data: il 23 dicembre. Una sera in cui il sindaco ha fatto perdere le sue tracce e molti sostenevano fosse a Milano. Il segretario del Pd, per la verità , nega e se la ride.
Quando qualcuno gli racconta della voce che lo riguarda non sembra prendere la cosa sul serio: «Devono avermi confuso con un altro», dice. E tira innanzi. Perché è altro quello che lo interessa. Per prima cosa, ovviamente, la vittoria sulla legge elettorale: «Hanno fatto di tutto per rinviarla e non ci sono riusciti».
Renzi ha capito qual è il gioco dei suoi avversari: il tentativo di mandarla per le lunghe. E di battere il tasto doppio turno alla maniera dei sindaci solo per allungare i tempi con delle riforme istituzionali, tant'è vero che Boschi, a proposito dell'intervista di Franceschini al Corriere, dice: «à una posizione personale». E il sindaco ha anche compreso che c'è chi vorrebbe vederlo a palazzo Chigi senza passare per le urne, pur di scongiurare le elezioni anticipate.
Ma da questo il segretario non ci sente: «Non vado a palazzo Chigi al posto di Enrico senza il voto, non sono come D'Alema che ha fatto le scarpe a Prodi. Io non tradisco e non mi chiamo Alfano. Non voglio il potere né le poltrone. Se andrò mai a palazzo Chigi sarà con il voto degli italiani».
Che per il momento lo premiano, perché secondo un sondaggio di Demopolis danno il Pd al 32,8 per cento, e, soprattutto, votano quel partito per il leader. Ma il tempo gioca tutto a sfavore del segretario e questo il sindaco lo sa. Come sa qual è la minaccia di Fassina, ormai libero da impedimenti ministeriali e diplomazie governative: «Io farò il Renzi di Renzi». Perciò l'imperativo è uno e uno solo: fare presto.
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