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Chris Bonface per “Libero Quotidiano”
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Si aprono sempre più dubbi sul decreto di risoluzione varato il 22 novembre scorso dal consiglio dei ministri guidato da Matteo Renzi, scegliendo chi salvare e chi gettare sul lastrico fra i vari risparmiatori che avevano investito su quattro banche.
Dubbi che ancora una volta riguardano soprattutto la vicenda della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, che come è noto era in qualche modo legata al governo per la presenza in consiglio di amministrazione (prima come membro del comitato esecutivo e poi come vicepresidente) di Pier Luigi Boschi, papà del ministro Maria Elena.
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La Banca d' Italia nel rapporto ispettivo del 27 febbraio 2015 continua a puntare sulla cattiva gestione della banca, rivolgendo accuse gravi agli ex amministratori e ancora più gravi all' ex direttore generale, Luca Bronchi, che fu pure premiato con una liquidazione da 1,2 milioni di euro per i pasticci combinati.
Ma proprio dagli atti di Banca di Italia, e da quelli successivi al commissariamento dell'Etruria, emerge un particolare non secondario per i risparmiatori che hanno perso tutto: la situazione finanziaria della Banca rendeva ancora possibile la restituzione del dovuto agli obbligazionisti subordinati.
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È stata la tenaglia Bankitalia-governo a rendere impossibile quel rimborso. Molti particolari inediti stanno emergendo sugli ultimi mesi di vita ordinaria della Etruria. A cominciare da quella proposta di acquisto a un euro per azione di oltre il 90% delle azioni Etruria da parte della Banca popolare di Vicenza. Fu rifiutata, e il rapporto ispettivo di Bankitalia addossa oggi le responsabilità al vertice dell' epoca, che rifiutò senza nemmeno consultare l' assemblea dei soci.
Ma all' epoca secondo quanto risulta a Libero fu proprio Banca d' Italia a sconsigliare l'operazione alla popolare vicentina, che avrebbe rischiato di compromettere con l'acquisizione la propria situazione patrimoniale. E via Nazionale ebbe una regia chiara anche di quel che sarebbe avvenuto nei mesi successivi. Ad agosto 2014 fu chiamato in Banca d'Italia il presidente dell' Etruria, Lorenzo Rosi.
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E gli fu chiesto di risolvere il rapporto di advisor stipulato con Rotschild e Lazard per il matrimonio che avrebbe dovuto salvare l'Etruria: erano stati loro a trovare la popolare di Vicenza, ed era stato un fallimento. Il nuovo advisor (Rosi disse al consiglio che era stato suggerito proprio da via Nazionale), diventò Mediobanca. Che fece anche peggio: non trovò nessuno, e, anzi, consigliò di gettare la spugna.
A novembre furono imposti gli stress test alla banca aretina, e proprio in coincidenza con l'arrivo dell' ispezione di via Nazionale (11 novembre), fu chiesto al consiglio di amministrazione di svalutare ulteriormente i crediti, portando la copertura al 66% delle sofferenze (in quel momento la percentuale più alta del mondo bancario italiano). Perché fu chiesto uno sforzo così grande a una banca che era in difficoltà?
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Razionalmente uno direbbe: per fare gettare la spugna ad amministratori e soci e ripulirla per un probabile acquirente. Che cosa accadde da lì in poi? Che da una parte intervenne il governo, inserendo Etruria nel decreto popolari, e dall'altra la Banca d'Italia. Fu quest'ultima il primo venerdì di febbraio (il 6) a chiedere a Pier Carlo Padoan il commissariamento dell'istituto. Il martedì mattina (il 10) Padoan lo firmò, con una rapidità che non era usuale (di solito c' è una istruttoria di 10-15 giorni).
Come ci fosse un' unica regia. L'11 febbraio era convocato un consiglio di amministrazione dell'Etruria che aveva ad oggetto le ulteriori svalutazioni dei crediti che avrebbero corretto la perdita 2014 in più di 500 milioni di euro. La banca era già commissariata, e infatti quel mattino alle 9 e 30 arrivano nella sede dell' istituto gli uomini mandati da Tesoro e Banca d' Italia.
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Ma non si insediano: vogliono che le nuove svalutazioni siano decise ancora dal vecchio cda che sulla carta non avrebbe più i poteri per farle. E così avviene, senza che i commissari firmino l'apposito modello per la presa d' atto. Sembra vogliano prendere la distanza da quelle svalutazioni, che non parevano dovute. Che cosa accade nelle settimane successive?
Che arriva una proposta di acquisto di 750 milioni di euro di crediti in sofferenza (al 30-38% del loro valore) da parte del fondo Algebris di David Serra. Ma viene accantonata perché esplode il caso politico e in Parlamento si grida al conflitto di interessi della Boschi. C'era ancora una strada alternativa a quel percorso seguito?
Sì, quella prevista dal codice civile: i vertici di Etruria potevano proporre all'assemblea dei soci un aumento di capitale. Se la risposta era no, si metteva in liquidazione la banca. Il patrimonio era ancora attivo, e creditori sociali e obbligazionisti avrebbero ancora potuto essere rimborsati. Il patrimonio di Etruria era in attivo ancora al 30 novembre scorso, sia pure di poco.
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Ma si è deciso il ko di azionisti e obbligazionisti per scelta ancora una volta concordata fra Bankitalia e il governo Renzi. Con il decreto risoluzione vengono svalutati all' 83% i crediti Etruria che vengono venduti alla bad bank. Viene creata una perdita di 440 milioni che sommata ai 300 di recupero sulla bad bank, vengono coperti per 250 milioni dai prestiti subordinati annullati (e cioè dalle tasche dei piccoli), 190 dal sistema bancario che poi verrò ripagato dalla vendita dei crediti deteriorati e 300 dalla vendita della banca. Nessuno dunque ci rimette un euro, anzi probabilmente tutti ci guadagneranno qualcosina meno che i piccoli risparmiatori. E solo per scelta del governo Renzi.
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I MANIFESTANTI PROVANO AD ENTRARE NELLA SEDE DI BANCA ETRURIA
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