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Fabrizio Roncone per il "Corriere della Sera"
Alle quattro del pomeriggio, Fausto Bertinotti sa tutto, ha letto tutto, ha visto tutto (del resto, a quest'ora, molti altri personaggi di una certa sinistra italiana sono pronti a valutare e festeggiare l'ennesimo successo elettorale di Hugo Chávez: Nichi Vendola sta filando in macchina verso Bari, ci sono gallerie, il cellulare non prende, «ma se mi richiama tra un po', le faccio un bel ragionamento»).
Bertinotti - ex lÃder máximo rifondarolo ed ex presidente della Camera - è a casa. «Vuol sapere se sono sorpreso della vittoria di Chávez? No, io non avevo alcun dubbio che sarebbe finita così». Un ottimismo, il suo, non scontato.
«Ma no, al contrario... Vede, Chávez ha vinto ormai troppe elezioni, e le ha vinte tutte democraticamente: e questo sa cosa significa? Che il suo successo ha basi solide, che siamo ben oltre forme di carisma, siamo al di là dell'estemporaneità ...».
Basi solide. Con qualche crepa di scarsa democrazia.
«Ecco! Con che spocchia, mi chiedo, noi che in Italia e in Europa viviamo davvero nella costante sospensione della democrazia, ci permettiamo di criticare... Sì, lì ci sono dei limiti, è vero: ma noi, da qui, noi davvero possiamo dare lezioni di democrazia a Chávez? Io mi soffermerei su altro».
Per esempio?
«Sul modello di welfare creato da Chávez. Un modello che si può discutere, che passa dalle case date ai poveri e arriva a una politica forse troppo assistenzialista: ma che ha la forza di essere stato creato addosso a quel Paese, tagliato su misura come un sarto taglia un vestito. Non sfuggirà anche ai più tenaci nemici di Chávez che il Venezuela è il paese sudamericano dove minore è la distanza tra poveri e ricchi».
Mezz'ora dopo, Nichi Vendola - presidente della Regione Puglia, gran capo di Sel e candidato alle primarie del Pd - usa toni anche più enfatici di Bertinotti. Sentite.
«Al netto di errori, anche grossi, come l'amicizia con l'Iran e qualche altra tentazione luciferina, al netto di tutto questo Chávez resta l'artefice, il protagonista d'una sperimentazione concreta di lotta contro la povertà ».
Meglio sarebbe se certe sperimentazioni avvenissero in un'atmosfera di concreta libertà .
«Guardi, noi non dobbiamo più cercare tipi o idealtipi...» (a Vendola, quando s'appassiona, e capita di frequente, scappano termini complessi ed eleganti).
Tipi o idealtipi che... prosegua...
«Beh, sì, insomma: che ci compensino della rivoluzione smarrita... Quindi, come è chiaro che sul tema delle libertà civili non possiamo fare sconti a nessuno, è altrettanto chiaro che, per un'altra volta ancora, Chávez esce vincitore dal responso delle urne grazie anche ad una straordinaria mobilitazione delle fasce più povere».
Una mobilitazione che, secondo alcuni osservatori, non sarebbe stata del tutto spontanea. «Senta: io non ho il mito di Chávez, però ho una profonda simpatia per quel laboratorio chiamato "rivoluzione bolivariana", un'esperienza che ha fatto invecchiare la stella di Cuba, perché Chávez, questa è la profonda verità , riesce dove Fidel ha fallito».
I suoi discorsi faranno sobbalzare molti nel Pd.
«Ah ah ah! Sì sì, certo, immagino... e allora le aggiungo pure che dal Sudamerica arriva una bella lezione anche per la sinistra italiana: perché lì non ci si misura con le biografie dei protagonisti politici, ma con i problemi reali della gente».
Riepilogando: nient'affatto feriti da certe importanti delusioni tropicali del passato (da Fidel Castro ai sandinisti di Daniel Ortega) gli esponenti della sinistra italiana più radicale ora si coccolano Chávez «el mago de las emociones», come lo definì - in un pamphlet - lo psichiatra e antropologo Luis José Uzcategui.
Chávez pensa ai poveri, Chávez distribuisce case e lavoro, Chávez forse qualche tentazione luciferina ce l'ha, «ma comunque è stato eletto democraticamente, come dimostrano le percentuali del risultato finale: la prova che c'è stato dibattito, confronto, gara politica» (questa era la voce di Norma Rangeri, direttore del manifesto, che alle elezioni venezuelane dedica gran parte della prima pagina).
Raccomandazione di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione: «Dittatura? Scriva che laggiù c'è stata una grande lezione di democrazia».
Marco Rizzo, segretario di Csp-Partito comunista: «La verità gliela dico io, che sono l'ultimo bolscevico. In Venezuela, con il comandante Chávez, sono andati a votare quattro volte. Qui in Italia Monti lo hanno eletto le banche. Punto. Fine. Tutto il resto è fuffa».
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