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Da “il Foglio”
Proprio mentre Enrico Letta ci informa che si dimetterà dal Parlamento per andare a “vivere del mio lavoro” da capo della Scuola affari internazionali di Parigi, ecco che Romano Prodi, dalle pagine di “Missione incompiuta, intervista su politica e democrazia” (Marco Damilano, Laterza) ripete che “l’Iri fu il mio Vietnam”.
L’ex due volte presidente dell’Istituto per la ricostruzione industriale, ex due volte capo del governo, ex leader dell’Ulivo e dell’Unione, ex presidente della Commissione Ue, ha una sua coerenza: sono 20 anni che dice che l’Iri fu il suo Vietnam, quasi che vi fosse stato paracadutato come Robert Duvall in “Apocalypse Now” e non nominato da Ciriaco De Mita. Paragona a un nido di vipere Bruxelles, e “stupidi” i suoi patti, dopo averne presieduto la Commissione.
O “non si riconosce nel Pd attuale” (quello di Matteo Renzi), dopo averlo fondato e presieduto. Alla stessa stregua del suo predecessore e padre putativo – Letta è stato prodiano nel Pd, sottosegretario di Prodi, dirigente e animatore come Prodi del pensatoio post Dc dell’Arel, nonché come Prodi dirigente di quello euroatlantico dell’Aspen – l’ex premier del cacciavite tiene a dire che la politica da lui frequentata fin da ragazzino è ormai roba poco chic, da parvenu, e chi ha orecchio intenda. Fantastici, Prodi & Prodino.
Il primo, nelle guerre lottizzatorie di quell’Iri che pur ebbe una sua passata gloria, è sempre stato alla larga, “fece tutto Craxi”. Il secondo, “non prenderà alcuna pensione”. Non sarà che hanno un po’ fallito? Noi comunque preferiamo quelli che la politica (“sangue e merda”) l’hanno vissuta tutta e non se ne vergognano. Viva Giorgio Napolitano.
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