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Francesco Bonami per "la Stampa"
à una coincidenza molto divertente che il Guggenheim Museum di New York inauguri venerdì la più grande mostra sul movimento futurista («Italian Futurism 1904-1944, Reconstructing the Universe») mai organizzata negli Stati Uniti proprio quando l'Italia viene trascinata di forza dentro un suo possibile futuro da uno spirito che si potrebbe definire la versione contemporanea proprio del Futurismo, quello della «rottamazione».
Quando nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti, ideologo del gruppo, scrisse il suo manifesto pubblicato addirittura su Le Figaro a Parigi, voleva proprio rottamare di tutto e di più. Secondo le sue idee musei, biblioteche, accademie e ogni cosa che sapeva di vecchio o puzzava di muffa doveva essere raso al suolo, incenerito, fatto scomparire.
I futuristi andavano di fretta. Una fretta talmente esagerata da fargli superare, troppo presto, anche sé stessi. La mostra del Guggenheim copre un arco di 35 anni, rivalutando molto anche il Futurismo 2, quello che si sviluppa dopo la Prima guerra mondiale con forti simpatie fasciste.
Il percorso infatti si conclude con un colpo di teatro: i murales di Benedetta Cappa, moglie di Marinetti, ma non per questo non brava di suo, che arrivano da un ufficio postale di Palermo commissionati dal regime fascista e realizzati tra il 1933 e il 1934. In realtà il Futurismo doc dura praticamente solo otto-nove anni, messo in crisi proprio da quella Grande guerra che i suoi artisti osannavano come purificatrice. Paradossalmente il conflitto toglierà di mezzo due delle figure più carismatiche del gruppo, il pittore Umberto Boccioni e l'architetto Antonio Sant'Elia.
Al di là delle sparate guerrafondaie e distruttrici, il Futurismo oltre alla rottamazione aveva anticipato tante cose, prima tra tutte la velocità con la quale la società moderna si sarebbe mossa. Il futuro per i futurologhi futuristi non riguardava soltanto la pittura o la scultura, ma tutte le arti compresa quella culinaria che di quasi un secolo anticipava la cucina molecolare di gente come lo chef catalano Ferrán Adriá o il nostro modenese Massimo Bottura.
Anche in poesia erano parecchio avanti con le loro «parole in libertà » o «paroliberismo», tecnica presa in prestito da più di un politico italiano negli ultimi decenni. La debolezza del Futurismo però è come quella dei film di Guerre stellari, ovvero incredibili fantasie superate però dalla stessa realtà . Così come fa sorridere il futuro fantascientifico di Star Wars, altrettanto accade con molte delle idee futuriste. Ma forse questo è il destino di ogni rivoluzione: avere l'energia per cambiare le cose ma poi, una volta cambiate, essere condannata a invecchiare immediatamente diventando un capitolo della storia molto importante, ma anche chiuso.
Il Futurismo è un po' come la pittura di Jackson Pollock, incredibile, sconvolgente, rivoluzionaria appunto, ma stilisticamente chiusa su sé stessa. Dal Futurismo prenderanno ispirazione tanti altri movimenti artistici e artisti individuali non solo in Italia ma a livello internazionale. Basti pensare al dipinto di Marcel Duchamp del 1912 Nudo che scende le scale, presentato proprio a New York all'Armory e che si porta dietro tutta l'influenza futurista del tempo.
Ma più recentemente molto futurista è l'opera di Damien Hirst A Thousand Years, mille anni, la testa di mucca tagliata e mangiata dalle mosche. Meno cruenta, ma sempre di spirito futurista, la mano di marmo di Maurizio Cattelan con il dito del V day grillino puntato verso il cielo in Piazza Affari a Milano, monumento permanente alle crisi economiche del futuro.
Nel '900 l'Italia ha dato alla storia dell'arte due grandi movimenti artistici, il Futurismo e l'Arte Povera, durati pochissime stagioni ma entrambi molto influenti. La vita dell'Arte Povera è più corta di quella di Marinetti e compagnia bella, inizia nel 1967 e nel 1972 vengono rotte le fila.
Ma oltre alla breve vita dei due movimenti è interessante notare come nessuno di essi abbia prodotto giganti della storia dell'arte pur sfornando fior artisti. Mentre il Cubismo partoriva un signore di nome Picasso e la Pop Art Andy Warhol, i protagonisti del Futurismo e dell'Arte Povera sono rimasti sempre a dimensione umana e leggermente provinciale.
Sarà molto interessante allora osservare la lettura anti-ideologica che la mostra americana farà del nostro primo grande movimento internazionale dopo il Rinascimento. Rammaricandoci un po' che la rottamazione sia solo un fenomeno politico e non artistico, che magari però finirà per influenzare non l'Arte Povera, ma la nostra povera arte. Al momento più bisognosa di un bel presente che di un meraviglioso futuro.
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