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VIA COL VENETO! – COME DAGO-ANTICIPATO, SALVINI SEMPRE PIÙ IMPEGNATO A PLACARE LA FURIA DEGLI IMPRENDITORI DEL NORD CONTRO IL DECRETO DIGNITÀ – DUE SETTIMANE FA ZAIA HA TRASMESSO A ROMA LE CONTESTAZIONI DELLA BASE LEGHISTA. LA PATATA BOLLENTE SCARICATA NELLE MANI DI GIORGETTI, MA NON È DETTO CHE LE MODIFICHE AL TESTO BASTINO…
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
Inizialmente Salvini aveva scelto la linea del basso profilo sul decreto Dignità: un po' per tener fede al patto di governo che prevede di non invadere le sfere d' influenza dell' alleato, un po' per salvaguardare il rapporto con il mondo imprenditoriale che rischiava di incrinarsi.
Ma il tentativo è fallito, e la protesta degli industriali veneti costringe il segretario della Lega ad esporsi per non veder compromessa la luna di miele con un pezzo importante di elettorato, soprattutto al Nord.
D' altronde i segnali che provenivano dal territorio erano chiari: due settimane fa il governatore Zaia aveva riservatamente trasmesso a Roma le contestazioni che l' altro ieri sono state rese pubbliche.
E non è detto che le modifiche al testo basteranno per placare il malcontento, così come potrebbero rivelarsi insufficienti le promesse di «iniziative volte ad agevolare le imprese» che lo stato maggiore del Carroccio ha rimandato alla prossima legge di Stabilità.
Sebbene il sottosegretario all' Economia Bitonci giudichi «esagerate le critiche» degli industriali, le perplessità dei maggiorenti leghisti alle norme volute dai Cinque Stelle rimangono.
Quando Di Maio lanciò il decreto, a Salvini fu chiaro che si trattava del tentativo grillino di rispondere politicamente allo strapotere mediatico conquistato dal titolare dell' Interno con l' immigrazione. I suoi ministri gli fecero peraltro notare che il provvedimento aveva «un' impronta cigiellina, visti i consulenti che hanno collaborato alla stesura».
Così la patata bollente venne scaricata nelle mani del solito Giorgetti, che - oberato com' è di dossier - vive la sua esperienza a palazzo Chigi con un approccio sempre più millenarista: «Un giorno qui vale dieci anni».
Da un mese e passa l' obiettivo della Lega è quello di ridurre il danno e di trasformare il «bandierone grillino in una bandierina». Ma attutire l' impatto del decreto non è facile, anche se il sottosegretario alla Presidenza sfrutta le sue competenze e conoscenze per arrotondare gli spigoli del decreto, contando sul fatto che all' Economia compete la vigilanza della parte economica, e che sul testo il coordinamento spetta al dipartimento Affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi, cuore pulsante del governo, casella che Conte non ha ancora riempito...
Forte di queste triangolazione, Giorgetti ha trasmesso in questo periodo messaggi rassicuranti agli interlocutori: «Intanto ci sarà la mediazione nel governo e poi ci sarà il lavoro del Parlamento».
Strappati i voucher per il turismo e l' agricoltura, come voleva il ministro Centinaio, si arriverà anche alla decontribuzione per i contratti a tempo indeterminato. Il punto è se si andrà oltre, perché sul decreto incombe la fiducia.
maria elena boschi e giancarlo giorgetti
Inizialmente Di Maio voleva evitarla per una questione d' immagine, ma più del filibustering dell' opposizione il governo teme un' iter complicato e ha poco tempo per convertire il decreto in legge.
Se così fosse, la soluzione metterebbe la sordina alle perplessità che accomunano i ministri leghisti ai detrattori del provvedimento: la preoccupazione che le nuove norme sul lavoro possano soffocare la timida ripresa, il rischio che invece di garantire stabilità all' occupazione si favorisca l' aumento del lavoro nero, eppoi la prospettiva di un abbassamento dei livelli occupazionali contemplata nella relazione di accompagnamento al decreto.
Perciò ieri Salvini è dovuto intervenire dopo le proteste degli industriali. Con quel suo «a fine percorso vedremo chi avrà avuto torto e chi ragione», pone una sorta di questione di fiducia rivolta agli imprenditori, è un modo per rilanciarsi come garante di un mondo che ripone altre aspettative.
Il vero problema risiede nelle differenze politiche tra M5S e Lega, amplificate in queste ore dalle nomine, e su cui la Meloni accende i riflettori: «Se al Tesoro il governo conferma Rivera, che scrisse il decreto salva-banche per Renzi, dov' è il cambiamento?».
È vero che non c' è Consiglio dei ministri senza tensioni. Ai tempi del «caso Diciotti», per esempio, la nave fermata in mare con i migranti, Salvini fu perentorio: «Non deve attraccare». «È un' imbarcazione militare», replicò la responsabile della Difesa. «Non se ne parla», si sentì rispondere.
Ma per ora lo scontro non è destinato a deflagrare, non sul decreto dignità. Poi, come dice Salvini, «verranno momenti difficili»: sulla Tav, sul Tap, sulla pedemontana veneta, sulla legge di Stabilità, dove la Lega vorrà dare risposta (anche) agli industriali.
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