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DAGOREPORT – GIORGIA MELONI, FORSE PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO È A PALAZZO CHIGI, È FINITA IN UN…
DAGOANALISI
L’estetica dello scontro, Matteo Renzi ce l’ha dentro. Individua un nemico, in carne e ossa, come Pier Luigi Bersani, o, metafisico, come il vecchio Senato da rottamare, e tira avanti come un rullo compressore finché non ne ha portato a casa lo scalpo.
Adesso, con un’agenda di riforme economiche impegnativa come quella che gli ha dettato Mario Draghi e che l’Europa si aspetta, manca il nemico da combattere, non potendo dichiarare apertamente guerra né alla Bce, né all’Unione europea (Re Giorgio non lo consentirebbe). E allora che ti fa questo genietto della comunicazione che si è insediato a Palazzo Chigi? Si fabbrica un nemico nuovo di zecca: “le lobby romane”.
Guardate che ha dichiarato al Financial Times, ansioso di sapere che sta facendo per rilanciare l’economia: “Il Paese non l’ho distrutto io, non faccio parte del sistema, Roma è una città piena di lobbisti, io sono un uomo solo”.
Sono dunque le lobby a frenarlo e lui le combatte solo contro tutti. Al di là dell’astuzia di fabbricarsi un nemico al quale addossare un po’ di colpe, un lettore anglosassone rimarrà stupito a leggere parole del genere.
Ogni capitale occidentale è campo di battaglia delle lobby più varie e Washington e Londra non fanno certo eccezione. I loro governi però non se ne fanno paralizzare, anche perché l’attività dei lobbisti è regolamentata con precisione. Da noi invece si preferisce il suk, tanto è vero che non si riesce a introdurre una legge sulle lobby.
Ecco, per esempio, essendo casualmente il Renzie al governo potrebbe essere la volta buona che l’esecutivo sforna un bel decreto per regolamentare il settore. Una legge bella tosta, naturalmente, come ci si aspetta che si faccia avendo di fronte il nuovo “public ennemy”.
Poi certo, si potrebbe andare a vedere che cosa ha fatto in questi mesi Pittibimbo contro le perniciose “lobby romane”. Un esempio è la storia dei maxi-stipendi dei manager pubblici. Renzie voleva ridurli tutti entro il tetto dell’assegno del Capo dello Stato, ma è prontamente spuntato un emendamento che salvava dal taglio i manager delle società che hanno emesso dei bond sui mercati, come la Cassa depositi e prestiti, le Ferrovie o le Poste.
Il governo che ha fatto? Ha tenuto duro spezzando le reni a una lobby? Non esattamente, deciderà Palazzo Chigi entro tre mesi, il che lascia spazio a nuove trattative.
Ma l’episodio più emblematico della fiera lotta alle lobby è di una settimana fa, quando il governo prova a mandare in pensione un bel po’ di primari e di professori universitari.
Classico esempio di scontro con due lobby agguerrite, si dirà. Esatto, e com’è andata a finire? E’ andata a finire che il governo ha ritirato la norma. Sconfitto dal lobbismo “romano” di due categorie che schierano decine di deputati? Non proprio, il problema è che mancavano le coperture. Una storia così, a raccontarla al Financial Times, non ci credevano neppure loro
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