DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
1 - L'ITALIA SI PREPARA A INTERVENIRE IN LIBIA
Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera”
RENZI IN MIMETICA FULL METAL JACKET
Sarà l' Aise, il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, a dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia. La nuova linea di comando è stata decisa con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio: 5 articoli in tutto, atto secretato, di cui lo stesso Renzi ha discusso con il capo dello Stato pochi giorni fa, durante la riunione del Consiglio supremo di Difesa.
Il decreto adottato da Matteo Renzi definisce le modalità operative e la linea di comando di quanto già definito, a livello legislativo, nel decreto missioni dello scorso anno: i nostri militari di unità speciali, per missioni speciali decise e coordinate da Palazzo Chigi, avranno le garanzie funzionali degli 007 (ovviamente nella cornice della loro missione) dunque licenza di uccidere e impunità per eventuali reati commessi.
Una cinquantina di incursori del Col Moschin dovrebbero partire nelle prossime ore. Si andranno ad aggiungere alle unità speciali di altri Paesi, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, che già da alcune settimane raccolgono informazioni e compiono azioni riservate in Libia.
I nostri militari troveranno informazioni e ausilio da parte di tre team, da 12 persone ciascuno, dei nostri servizi, che già da tempo operano a Tripoli e in altre zone del territorio libico.
Il decreto adottato da Renzi disciplina i rapporti di collaborazione fra Aise e forze speciali della Difesa. Prevede che il capo del governo - si legge nella relazione illustrativa - nelle situazioni di crisi all'estero che richiedono provvedimenti eccezionali ed urgenti «può autorizzare», avvalendosi del Dis, il nostro servizio segreto per l'estero, l'Aise ad avvalersi dei corpi speciali delle nostre Forze armate.
Il Dis, il Dipartimento per le informazioni della sicurezza, diretto da Giampiero Massolo, risponde al sottosegretario che ha la delega sui servizi, Marco Minniti e al capo del governo. In sostanza sarà direttamente Palazzo Chigi a decidere, pianificare e controllare missioni delle nostre forze speciali in territorio libico.
Si legge all' articolo 2 del Dpcm del 10 febbraio: «Nelle situazioni di crisi e di emergenza che richiedono l'attuazione di provvedimenti eccezionali e urgenti il presidente del Consiglio, previa attivazione di ogni misura preliminare ritenuta opportuna, può autorizzare, avvalendosi del Dis, l'Aise, ad adottare misure di intelligence e di contrasto anche con la cooperazione tecnica operativa fornita dalle forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto della Difesa stessa».
L'Aise risponde al presidente del Consiglio dei ministri e informa, tempestivamente e con continuità, il ministro della Difesa, il ministro degli Affari Esteri e il ministro dell' Interno per le materie di competenza.
Sembra confermato, al momento, l' entità della partecipazione ad un' eventuale missione di peace enforcement con i nostri alleati, quando si formerà un governo libico e chiederà formalmente un intervento: dovrebbero essere tremila militari, come già scritto dal Corriere; ieri è filtrato che in prima linea ci saranno i reggimenti San Marco e Tuscania. In questo caso però, a differenza che per l' invio di unità speciali in base al decreto varato il 10 febbraio, ci vorrà un' autorizzazione del Parlamento.
Delle missioni di unità speciali eventualmente disposte dal premier il Parlamento verrà informato con atti scritti e secretati, tramite il Copasir, il Comitato per il controllo parlamentare sui nostri servizi segreti.
2 - RESTA ALTO IL RISCHIO DI ATTACCHI STILE PARIGI
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
L'intelligence italiana avverte che il pericolo è sempre dietro l' angolo. Sotto una doppia veste: l'attentato «strutturato, che promana direttamente dall' organizzazione terroristica» e la «minaccia "puntiforme", riferibile all' universo composito di elementi autoctoni e autoreclutati». Terroristi addestrati per fare stragi studiate a tavolino in ogni dettaglio (magari all'estero) sul modello Parigi 2015, quindi, e terroristi fai-da-te che decidono obiettivi e azioni di propria iniziativa.
L'Italia non sfugge a questo rischio, anzi. Sebbene non ci siano «specifici riscontri sull'esistenza di piani di attacco in territorio nazionale», nei proclami dello Stato Islamico «non sono mancati i riferimenti al nostro Paese come "nemico" a motivo della sua partnership con gli Stati Uniti e Israele, delle relazioni che intrattiene con governi arabi ritenuti "apostati", dell' impegno nella lotta al terrorismo internazionale, nonché per il suo passato coloniale in Libia». In più c'è il Vaticano, possibile obiettivo «privilegiato sotto un profilo politico e simbolico/religioso, anche in relazione alla congiuntura del Giubileo straordinario».
attentati a parigi assato al bistrot 15
Così si legge nella relazione annuale del Dipartimento per l' informazione e la sicurezza che coordina l' attività dei servizi segreti. Tuttavia l' allarme deborda e a Parigi, ieri, in vista dei campionati europei di calcio che cominceranno fra cento giorni, gli organizzatori hanno ipotizzato di giocare alcune partite a porte chiuse, o con orari e sedi spostate all' ultimo momento. Forse pure quelle dell' Italia, Paese considerato da una fonte anonima «a rischio crescente».
Nell' analisi dei Servizi italiani particolare rilievo viene attribuito alla situazione in Libia, che di questi tempi suona come una sorta di supporto informativo all' ipotesi di una missione internazionale sotto l' egida delle Nazioni Unite: «L' instabilità libica - scrivono gli analisti dei Servizi - ha favorito la formazione, in quel territorio, di strutturate filiere jihadiste e di nuclei pro-Daesh (acronimo arabo dello Stato Islamico, ndr ) e proprio da quelle coste sono partiti, nell' anno appena terminato, circa il 90% dei clandestini giunti in Italia via mare. È assai difficile limitare le attività terroristiche ed i traffici illeciti in una Libia instabile e divisa».
Alla radiografia dell' intelligence si aggiunge quella degli inquirenti, contenuta nella relazione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, presentata sempre ieri.
Dai magistrati giunge il suggerimento di introdurre qualche strumento di controllo in più; ad esempio l' applicazione della sorveglianza speciale pure a chi si manifesta «soggetto pericoloso» attraverso l' adesione, anche solo su Internet, a «proclami fondamentalisti di apologia del Califfato e di incitamento all' esecuzione di atti di terrorismo, lanciati via Web da altri soggetti». Questo perché «simili proclami non sono mera espressione di opinioni, ancorché estreme, ma atti di guerra, anelli di una catena di azioni che può condurre a omicidi e stragi di persone inermi».
La Superprocura guidata da Franco Roberti non esita a definire lo Stato Islamico «uno Stato-mafia, perché assieme al radicalismo ideologico e alla violenza terroristica, esprime anche imprenditorialità criminale e dominio territoriale con proiezioni transnazionali: i connotati essenziali e tipici delle associazioni di tipo mafioso». Basti pensare al controllo del territorio, all' imposizione delle estorsioni e al denaro incamerato con il traffico della droga e/o dei migranti.
Anche l' analisi dei servizi segreti mette l' accento, fra l' altro, sul possibile «pizzo» riscosso dai «commercianti di umani». E si ritorna alla Libia: «La presenza di gruppi affiliati all' organizzazione in aree attraversate dalle rotte del traffico di esseri umani, delinea l' eventualità che ai trafficanti possano essere imposti pagamenti per consentire il transito dei convogli». Quanto al «rischio di infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori» , l' intelligence ribadisce che «sulla direttrice nordafricana», cioè quella che utilizza i barconi, non ci sono riscontri «nonostante i ricorrenti allarmi».
Il pericolo, piuttosto, arriva dalla rotta balcanica, dove le informazioni raccolte sottolineano, nell' ordine: «Le vulnerabilità di sicurezza legate all' imponente flusso di profughi provenienti dal teatro siro-iracheno; la centralità della regione quale via di transito privilegiata bidirezionale di "foreign fighters" , oltre che quale zona di origine di oltre 900 volontari arruolatisi nelle file del jihadismo combattente; la presenza nell' area di realtà oltranziste consolidate, in grado di svolgere un ruolo attivo nella radicalizzazione dei migranti».
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