DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giovanni Cerruti per "La Stampa"
Sarà la notte delle scope, almeno cento leghisti sul palco di Bergamo con la ramazza in mano. Che ci sia o non ci sia, sarà la notte più difficile per Umberto Bossi e la Lega sfregiata.
Pulizia, pulizia, pulizia. La Lega è già altro, o già di altri. Renzino Bossi che lascia la Regione e torna a casa. Rosi Mauro che sta per consegnare le chiavi del ufficio, e dell'appartamento, da vice presidente del Senato. Forse non basta, forse non è finita qui. E non bastano le scope, quelle vanno bene per un pollaio o un pavimento. Qui è la casa che traballa. E dovranno provvedere subito, nella Bergamo dei «magùtt», muratori tra i più veloci.
Vado o non vado? Deciderà all'ultimo, il vecchio Bossi stravolto dalle giornate di una Pasqua da dimenticare. à solo, alle due del pomeriggio, quando esce dalla villetta di Gemonio. Il Cerchio Magico è svanito, anche la Rosi è sparita. Nelle sue poche parole la bugia di un padre che nonostante tutto cerca di difendere il figlio, «erano due mesi che mi diceva che era stufo di stare in Regione, lì non si trovava bene». Dimissioni dal Consiglio regionale, non dalla Lega. Un minimo sindacale. Basteranno a placare scope e «magùtt»? Basteranno ad evitare fischi, o peggio cori e insulti e altro ancora?
Questo martedì, per quel molto che resta ancora della Lega, si aprirà di buon'ora. Con Roberto Calderoli, Manuela Dal Lago e Roberto Maroni, i tre neo segretari coordinatori, che si sono dati appuntamento in via Bellerio. C'è da preparare la serata, appunto. C'è da salvare il massimo del salvabile di Umberto Bossi. C'è, anche, da stare attenti. I leghisti che l'hanno sempre seguito, quelli che lo vorrebbero seguire ancora, chi l'ha conosciuto bene, aspettano le mosse del Condottiero stanco, se davvero si metterà in disparte oppure no. Dalla sacca di furbizie potrebbe cavare qualche sorpresa. E tentare di resistere, resistere, resistere.
Alla Fiera di Bergamo stasera come a Varese, al teatro Apollonio, il 18 gennaio. In mezzo, gli 80 giorni che hanno cambiato la Lega. A Varese, all'ultimo momento, Bossi aveva deciso di esserci. Le sezioni leghiste, sindaci, parlamentari, militanti, avevano riempito quel teatro per dimostrare solidarietà a Bobo Maroni, colpito cinque giorni prima dal perentorio ordine partito dal tinello di Gemonio, dalla Lega di Famiglia&Famigli: Maroni non può parlare ai militanti. Ordine rinculato il giorno dopo, con una telefonata di Bossi: «Guarda che non è vero che non puoi andare nelle sedi, è tutta colpa di intermediari confusionari...».
Non ha mai detto, Bossi, chi siano questi intermediari confusionari. Ma certo si dev'esser preoccupato parecchio se anche la sezione di Gemonio, a cento metri da casa, si era schierata con Bobo e la sua voglia di «Lega degli onesti». Quella sera, a Varese, si erano presentati all'Apollonio tenendosi per mano. Bobo, poi, aveva detto tutto quel che aveva da dire, e si capivano i riferimenti al tesoriere Belsito, a Rosi e al suo sindacato fatuo, «a chi vorrebbe cacciarmi e dovrebbe essere cacciato». Sul palco erano seduti a un tavolino, come al bar. In mezzo, come un cameriere che aspetta l'ordinazione, Calderoli.
à in quei giorni, e i carabinieri non avevano ancora bussato in via Bellerio, che i big della Lega capiscono che qualcosa si è rotto, che la Lega di una volta non c'è più. La domenica dopo, 22 gennaio, il corteo di Milano si chiude con i fischi a Bossi, che non ha dato la parola a Bobo. Con Renzo che dirà non è vero, «è colpa del sincrono tra audio e video». Con Rosi Mauro che per tutto il corteo aveva cercato l'abbraccio e il bacio di Bobo, e lui l'ha sempre schivata, o forse proprio schifata. Tutto cambia, da quella domenica. I carabinieri stavano già registrando, i signorotti della Lega si stavano già riposizionando...
Non è per infierire - perché non ce ne sarebbe bisogno -, ma le cronache di quelle giornate raccontano storie che scope e «magùtt» non sembrano aver dimenticato. Nelle 24 ore della mordacchia a Maroni quanti sono i signorotti della Lega che hanno alzato il ditino per dire no, che hanno messo un post su Facebook, che hanno chiamato Bobo? Pochi minuti prima della rinculata di Bossi, al Palazzo dei
Congressi di Stresa, Calderoli scomunicava i leghisti che avevano deciso di ritrovarsi a Varese con un vibrante «Non possono! Non possono!». E Roberto Cota, lì accanto: «Ma parliamo di cose serie, del governo Monti che affama le nostre famiglie...».
Perché stasera ci saranno leghisti che la scopa la vogliono usare davvero. E c'è chi poi, nella notte, è pronto a trasferirsi in via Bellerio per occupare la sede con visibili colpi di ramazza in certe stanze. O chi vuole portare il cartello che è già pronto da gennaio: «Il colore della Padania è verde, non Marrone», come il cognome di Manuela, la moglie di Bossi. Per Rosi Mauro si va nel greve. Di sicuro andrà bene a Roberto Maroni. «Sarà un congresso straordinario organizzato dalla base - anticipano i messaggi via telefonino - Bobo verrà eletto per acclamazione!». «Non ci ingannano più, faremo fuori la "Banda dei Maialini"!».
Deve passare questa giornata prima della notte delle scope, e le dimissioni di Renzo potrebbero non bastare. C'è chi, come Maroni, non nasconde che questa Lega può ripartire solo da due parole semplici, «credibilità » e «dignità ». Merce rara, mentre si attendono le decisioni di Bossi: che potrebbe anche disertare la serata e aspettare il giorno dopo, magari per dire che questa non è più la sua Lega, e quindi... «Io che lo conosco meglio di sua moglie e di sua mamma scommetto che a Bergamo non ci va - dice Pino Babbini, il suo autista degli anni belli -. Ha paura dei "buuu", ma la Lega lui non la lascia». Piuttosto la sfascia.
RENZO BOSSI - TROTAPIER MOSCA E ROSI MAUROcalderoli-robertoROBERTO MARONI FRANCESCO BELSITO CON UMBERTO BOSSIUMBERTO BOSSI CON MANUELA MARRONE jpegFrancesco BelsitoROSI MAURO E MARONI
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