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Massimo Krogh per "Libero Quotidiano"
Un quotidiano napoletano giorni fa ha pubblicato la notizia che il Papa, parlando in un incontro con i giuristi della giustizia italiana, ha fra l’altro definito la carcerazione preventiva una «illecita pena occulta che va oltre la patina della legalità». È quasi commovente sentire dalla voce più alta della Chiesa una verità terrena così puntuale.
Non a caso Francesco è un gesuita, l’ordine di cui sono note le aspirazioni culturali, ed anche democratiche. La Compagnia di Gesù ha sempre mirato ad un Chiesa fatta di piccole comunità autonome al posto di una Chiesa gerarchica. La cosiddetta Chiesa del popolo, la quale, anziché gli scopi ultraterreni della chiesa tradizionale, ha sempre perseguito l’uguaglianza e la liberazione dei popoli dalle ingiustizie sociali.
DELL UTRI DELLUTRI CON L AVVOCATO MASSIMO KROGH
Riprendo questa osservazione del Pontefice perché è assolutamente esatto ciò che lo stesso dice ed è assolutamente spiacevole che avvenga. Purtroppo avviene. La carcerazione preventiva (cautelare nel linguaggio dei codici), se applicata come anticipazione della pena, offende sia il principio di uguaglianza, trattando tutti gli indagati indistintamente come presunti colpevoli, sia il principio della libertà personale, che viene privata in modo illegittimo.
Per chiarezza, è opportuno sapere cosa sia la carcerazione preventiva o cautelare secondo il codice e cosa è divenuta nell’applicazione concreta. L’articolo 273 del codice di procedura penale stabilisce che nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistano gravi indizi di colpevolezza. Per il successivo articolo 274, la misura deve essere emessa se sussista la pericolosità sociale, vale a dire un pericolo di inquinamento delle prove o un pericolo di fuga o un pericolo di reiterazione di reati della stessa indole.
i detenuti hanno offerto a napolitano un caff
La statuizione normativa pare piuttosto chiara. I gravi indizi di colpevolezza rimuovono la presunzione costituzionale d’innocenza, e per altro verso la pericolosità sociale del soggetto impone la custodia preventiva come tutela della collettività. Nella pratica giudiziaria troppe volte le cose non vanno così. Accade che il pubblico ministero formuli un’ipotesi di accusa, che non di rado può rivelarsi un teorema, e dopo un esame dei presupposti e delle condizioni reso frettoloso dalla ritenuta gravità dei fatti, cattura come persona pericolosa il soggetto indagato. In tali casi, stante la carenza di approfondimento sulle condizioni e sui presupposti per la imposizione o per il mantenimento dello stato di custodia, questa si traduce nell’anticipazione di una pena che potrebbe non arrivare nel fumo dei tempi in cui si perde il nostro processo penale.
È questo il disfacimento della giustizia nel nostro Paese. Direi che sia legittimo il sospetto che tale uso improprio della carcerazione discenda anche dalla consapevolezza degli stessi magistrati della inapplicabilità della pena vera e propria, quale riflesso delle disfunzioni della giustizia. Come a dire, il reo si faccia almeno un po’ di carcere. Come dice Francesco nelle sue prodigiose intuizioni, ciò è qualcosa che «va oltre la patina della legalità».
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