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Goffredo De Marchis per "la Repubblica"
A metà strada tra la sfida e il corteggiamento, Pier Luigi Bersani comincia la fatica dell'aggancio a Grillo. «Adesso deve scendere dalle colline sul mare e sporcarsi le mani. Con la politica, con il governo, con la crisi». Ma lunedì sera si è chiusa la fase della pace interna. Il dramma della mezza sconfitta attraversa le stanze di Largo del Nazareno e lascerà molte ferite.
Bersani deve fare i conti con una parte del Pd che non lo segue più, che non pensa sia lui il più adatto «a delineare maggioranze in questo momento», tantomeno a candidarsi a guidarle da Palazzo Chigi. Che lo considera ormai un ex leader. à la posizione di Paolo Gentiloni e Giorgio Tonini, i quali suggeriscono di non sbattere la porta in faccia al Pdl ben sapendo che non potrebbe essere il segretario a condurre una trattativa con Berlusconi.
Non a caso sono due dirigenti renziani ad avviare l'offensiva, perché l'ombra del sindaco di Firenze si allunga sul futuro del Partito democratico. Renzi, per il momento, fa pesare, eccome, la sua assenza e il suo silenzio pubblico. La forzata collaborazione in campagna elettorale si trasforma in una "guerra fredda". Chiamato più volte da Vasco Errani ieri mattina, Renzi si è rifiutato di partecipare alla riunione serale dei big. «Io non partecipo ai caminetti, a queste robe qui». Che è un modo per alzarsi dalla panchina e iniziare il riscaldamento.
L'accelerazione di Bersani verso il dialogo con i 5stelle e la chiusura netta al Cavaliere ha lasciato di stucco molti, non solo tra i suoi critici della prima ora. Non è piaciuta a Giorgio Napolitano, sicuramente. In una fase così delicata è bene praticare la politica dei piccoli passi senza escludere nessuna ipotesi, nessuno sbocco, è la linea del Colle. Il vicesegretario Enrico Letta, che tiene i collegamenti con il capo dello Stato, si fa interprete del corretto pensiero bersaniano: «Non c'è chiusura, c'è invece la ricerca di punti in comune per un governo che aiuti il Paese. Guidato da Pierluigi, certo».
Ma l'alchimia è molto complicata. E un Pd scosso, che perde l'unità aggrava lo scenario. Nichi Vendola se n'è reso conto incontrando ieri Gentiloni e Dario Franceschini. Dal primo si aspettava una frenata sui progetti del segretario democratico, dal secondo no. Anche il capogruppo uscente della Camera, adesso in corsa per la presidenza della Camera, avanza molti dubbi sulla possibilità che un esecutivo guidato da Pier Luigi possa raccogliere voti oltre il bacino dei neoeletti grillini, già terreno minato.
Va dunque preparato un piano B: un governo tecnico di Pd e Pdl con un programma limitato, istituzionale e di salute economica. Qualcuno si spinge a dire che potrebbe guidarlo Renzi, ma il segretario non la considera una strada percorribile e l'idea atterrisce lo stesso sindaco. Per Bersani esiste solo una via d'uscita (da evitare) al «combattimento» che vuole ingaggiare per formare una maggioranza senza il Pdl: il ritorno alle urne.
«Dobbiamo prepararci anche a questo. Per salvare il partito non possiamo non stanare Grillo con un programma di vero cambiamento, di moralità della politica. Se non ci sta, sarà responsabile del fallimento», è il pensiero di Bersani. In questo modo, il Pd potrà avere ancora delle carte da giocare di fronte agli elettori. Ma ci sono altre posizioni. «Sarebbe devastante aprire oggi una resa dei conti interna - ragiona Tonini - ma il segretario non deve correre. Adesso concentriamoci sulle cariche istituzionali. Metterle insieme al governo innesca un cortocircuito e indebolisce una soluzione. Il Pd parli a tutto campo, non solo a Grillo. Stiamo aperti e tastiamo il terreno».
Nella bufera non può essere un partito "sconfitto"a disegnare scenari. Per questo con i suoi fedelissimi Renzi commenta freddamente la conferenza stampa del segretario: «Siamo alla follia».
E Gentiloni spiega: «Non siamo noi a decidere le maggioranza. Assecondiamo il lavoro del presidente della Repubblica. E per quanto riguarda il Pd mettiamoci nelle condizioni di essere più competitivi. Come? Discutendo e cambiando ».
Bersani non segue questa lunghezza d'onda. «Politicismi», dice. Sa solo che il Paese va governato e vede in Grillo un possibile alleato per farlo, non altri. Con la consapevolezza che tutto può precipitare se non cambia l'Europa. «Perché dentro ai vincoli della Ue, la nostra situazione è ingovernabile per tutti».
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