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Danilo Taino per il "Corriere della Sera"
In Europa, unificare un movimento di protesta dei lavoratori e dei disoccupati è sempre stato più difficile che firmare un trattato tra 27 governi. Ieri, per la prima volta in modo determinato, di fronte a disoccupazione e recessione ci ha provato la Confederazione europea dei sindacati: 40 organizzazioni nazionali si sono mobilitate in 23 Paesi.
Il risultato più evidente è la conferma di quanto l'Europa sia divisa tra Nord e Sud, nelle piazze forse ancora più che tra le Cancellerie: sulle rive del Mediterraneo, ci sono stati scioperi, manifestazioni, scontri contro le politiche di austerità condotte dai governi e volute dalla Germania e dai Paesi settentrionali che ne condividono gli obiettivi, contro le banche, contro i mercati finanziari; al Nord quasi niente di tutto ciò, a parte qualche manifestazione di solidarietà .
Se doveva essere l'atto di nascita di un movimento paneuropeo contro l'austerità , per ora l'obiettivo non sembra centrato. Anzi, le differenze latitudinali della protesta potrebbero essere lette come un'ulteriore spaccatura all'interno del Vecchio continente, un movimento tettonico che a livello popolare segue almeno in parte le divisioni tra i diversi governi.
Dall'altra parte, va registrato il fatto che per la prima volta sia stata dichiarata una giornata di protesta - seppure in forme diverse tra Paese e Paese - di portata europea: un primo passo al quale altri potrebbero seguirne, soprattutto vista la situazione sempre più drammatica dell'economia, che ieri è stata misurata da una serie di statistiche negative.
Non era mai accaduto che uno sciopero generale interessasse l'intera Penisola Iberica: ieri è successo.
In Spagna, dove la disoccupazione è sopra il 25%, le Comisiones Obreras hanno detto che la partecipazione allo sciopero ha raggiunto l'80% dei lavoratori interessati. La società che gestisce la trasmissione di elettricità nel Paese ha però fatto sapere che i consumi di energia non sono crollati, attorno all'87% della media. In Portogallo - in recessione del 3,4% anno su anno - non tutti i sindacati hanno aderito alla protesta; i trasporti e parte degli ospedali sono però stati bloccati.
In Grecia - dove ieri si è saputo che l'economia in un anno è scesa di un ulteriore 7,2% - tra le cinque e le diecimila persone hanno manifestato, poche a confronto delle grandi mobilitazioni dei mesi scorsi. Proteste anche in un'altra decina di Paesi. In Belgio, i manifestanti hanno portato una lettera al commissario europeo per gli Affari sociali, Laszlo Andor, nella quale gli consegnano il «Premio Nobel per l'Austerità ».
Anche alcune delle parole d'ordine e degli obiettivi della protesta segnalano la divisione che si è creata in Europa tra Nord e Sud. In Portogallo, ad esempio, Arménio Carlos, il segretario generale del maggiore sindacato, ha detto che il Paese soffre di «una colonizzazione finanziaria». Come al solito, in Grecia - ma un po' ovunque - molti slogan e striscioni erano contro Angela Merkel. Italia a parte, scontri significativi ci sono stati a Madrid (un'ottantina di arresti) e qualche scaramuccia si è vista a Lisbona e a Londra. Obiettivi, governi e banche, accusate di essere non solo all'origine della crisi ma anche veicoli, appunto, di colonizzazione delle economie più deboli da parte di quelle più forti.
In Germania non ci sono state in sostanza proteste: finora, l'economia ha tenuto, anche se i dati sulla produzione industriale nell'Eurozona ieri hanno indicato che anche la locomotiva europea è entrata in una fase di stagnazione. In Francia si sono avute solo alcune manifestazioni di solidarietà con i Paesi più colpiti dalla crisi. In generale, ieri si è vista un'Europa di pessimo umore, con prospettive di crescita incerte e differenze tra Paesi che si allargano.
Il dato sulla produzione industriale dell'Eurozona, in settembre scesa del 2,3% rispetto a un anno prima, ha accentuato l'impressione di un continente in difficoltà e in ansia, con poche prospettive. Quella che è stata una crisi finanziaria drammatica - tra l'altro non finita - è ora diventata una crisi politica e sociale per alcuni versi forse ancora più pericolosa, dal punto di vista del progetto europeo.
A questo proposito, sta diventando sempre più rilevante la posizione della Francia. Ieri, la Parigi sindacale non è stata parte del club mediterraneo che si è mobilitato. Ne sarebbe stato contento l'ex presidente Nicolas Sarkozy, che con la relazione privilegiata con Frau Merkel ha sempre cercato di tenere Parigi lontana dal Club Med dei Paesi in difficoltà . Ora, con l'elezione a presidente di François Hollande, l'asse tra Parigi e Berlino è di fatto spezzato. E le preoccupazioni per lo stato dell'economia francese crescono ogni giorno. Una Francia che torna nel Club Med sarebbe la sanzione definitiva della divisione in due dell'Europa, Sud contro Nord. Dita incrociate.
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