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SÌ, NO, FORSE: LA POLITICA È IN IMBARAZZO PER IL REFERENDUM – DA SALVINI A ZINGARETTI, GRANDE È LA CONFUSIONE TRA CHI PENSA CHE TAGLIARE I PARLAMENTARI SENZA CORRETTIVI SIA UNA BESTEMMIA E CHI SEMPLICEMENTE PENSA ALLA PROPRIA POLTRONA – ZINGARETTI DARÀ L'ORIENTAMENTO DEL PD TRA QUALCHE GIORNO, SALVINI IN TEORIA È PER IL SÌ, MA SE PASSA IL TAGLIO CI VORRÀ TEMPO PER RIDISEGNARE I COLLEGI E LA VITA DELLA LEGISLATURA SI ALLUNGA…

 

 

luigi di maio strappa le poltrone in piazza montecitorio flash mob m5s per il taglio dei parlamentari

1 - REFERENDUM, I DUBBI DI ZINGARETTI (CONDIVISI ANCHE DENTRO LA LEGA)

Marco Cremonesi per il “Corriere della Sera”

 

Non sono soltanto i dubbi che personalmente nutre ogni eletto nei confronti del taglio dei parlamentari. Quelli che vengono cinicamente riassunti come la paura del tacchino per il giorno del Ringraziamento. In realtà, quella che sta montando è anche la preoccupazione per come funzioneranno le Camere all'indomani del referendum.

 

nicola zingaretti stefano bonaccini

Lo ha detto il segretario dem Nicola Zingaretti (dopo aver sottolineato che le Regionali «saranno anche un voto importante per gli scenari futuri della politica italiana»): «Noi abbiamo deciso un anno fa di procedere al taglio dei parlamentari e parallelamente a fare modifiche regolamentari per rafforzare questo aspetto. Se questo non avviene, non è un problema del Pd che lo ha chiesto, ma di tutta la maggioranza. E confido che il presidente Conte e l'intera maggioranza capiscano che è un tema da affrontare».

fico grillo di maio

 

L'obiettivo è che il taglio «coincida anche con una difesa delle istituzioni democratiche». Prima ancora della maggioranza, dovrà affrontare il tema anche il Pd, che ancora non ha una posizione ufficiale: Zingaretti conferma che «tra qualche giorno faremo la direzione nazionale per assumere un orientamento». Mentre Stefano Bonaccini e Maurizio Martina invitano a pronunciarsi per il sì al taglio.

di battista di maio

 

Ma appunto, il tema divide anche la maggioranza. Il ministro Di Maio ha infatti citato in un post Nilde Iotti, rilanciandone alcune considerazioni. Già nel 1984, la prima presidente della Camera riteneva che rispetto al 1948 ci fosse «una società molto più articolata, una democrazia molto più articolata: allora io ritengo che il numero dei parlamentari sia davvero troppo alto».

 

Commenta Di Maio: «Non aggiungo altro. E c'è ancora chi parla di populismo...». Nel Pd, c'è chi non la prende bene. Come Livia Turco: «Portate rispetto alla presidente Iotti. Anziché strumentalizzare il suo pensiero nella campagna per il referendum, ricordatevi di lei sempre». Brutale Carlo Calenda: «Un poco di pudore. Vi siete annullati il limite dei due mandati dopo averci rotto le balle per anni sulla vostra "diversità". Ma con che faccia vieni a spiegarci la nobiltà di un taglio fatto a cavolo? Tagliati tu, poi ne riparliamo».

 

CARLO CALENDA

Mentre il senatore azzurro Andrea Cangini, tra i promotori del referendum, coglie l'occasione per un appello al centrodestra: «Quello del 20 settembre sarà un referendum tra Politica e demagogia, dunque anche un referendum sul M5S. Dopo averle ammainate e vilipese tutte, a Di Maio resta solo la bandierina dell'anti-casta. Se vinceranno i No, il grillismo sarà sconfitto e la crisi dei grillini si ripercuoterà sul governo: non vedo come Salvini e la Meloni possano astenersi dal dire io voto no».

 

Ma il segretario della Lega ieri ha ribadito il voto al Sì. Nel centrodestra in parecchi ritengono che, in caso di vittoria dei Sì, non saranno assolutamente sufficienti i 60 giorni della legge delega con cui il governo dovrebbe ridisegnare i collegi elettorali. Sbuffa un leghista, «il referendum rischia di diventare uno strumento anti elezioni».

RADICALI PER IL NO AL REFERENDUM

E sempre in Lega molti sono convinti che i numeri delle Camere così come usciranno dalla riforma renderanno difficile il lavoro parlamentare, soprattutto nelle commissioni al Senato. I regolamenti di entrambe le Camere, secondo i leghisti, andranno profondamente rivisti, sia pure per ragioni diverse da quelle di Zingaretti: «Ne va del funzionamento della Repubblica». Anche se il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà le ritiene preoccupazioni «infondate».

 

TAGLIO PARLAMENTARI

2 – DAL PD A SALVINI I TROPPI IMBARAZZATI DAL REFERENDUM

Carlo Bertini per “la Stampa”

 

In base ai sondaggi più accreditati, gli elettorati dei partiti sono tutti schierati a favore del taglio dei parlamentari, con percentuali che vanno dal 60 per cento in su. E qualunque cosa dicano i loro leader di riferimento difficilmente cambieranno idea. Non a caso Luigi Di Maio è partito in tour, sapendo di poter drenare consensi come i croupier, sul tavolo dell'odio anti-casta. «E sapendo che non porterà un candidato che sia uno al ballottaggio nei mille comuni dove si vota», prevede un velenoso esponente dei Dem, che scommettono sul tracollo dei 5stelle.

 

MEME SU LUIGI DI MAIO E IL DITO MEDIO A MATTEO SALVINI

Fatto sta che tranne i grillini, i capi dei partiti paiono in imbarazzo sul taglio di un terzo degli scranni. L'esempio più eclatante è Forza Italia, che dopo aver sostenuto la riforma, oggi va dicendo con la capogruppo Annamaria Bernini, che è fatta male: «Gli italiani devono sapere che in alcune regioni ci sarà la rappresentanza solo dei due principali partiti e tutti gli altri verranno esclusi da Camera e Senato».

 

Tradotto da una voce maligna del Pd: «I loro parlamentari sono disperati, oggi hanno il 20 per cento dei posti nelle Camere e il 6 per cento nei sondaggi, mettici pure il taglio di un terzo delle poltrone, non sanno dove andare». E se la sforbiciata dei posti in palio fa soffrire tutti i gruppi, non deve stupire la frase di Matteo Salvini, pur accreditato nei sondaggi più in alto del 17% che ebbe nel 2018.

 

m5s taglio parlamentari

«Io ho votato sì quattro volte e per coerenza andrò a votare sì. Poi il referendum è in mano ai cittadini. Ognuno farà le sue scelte». Infatti, chi seguiva il dibattito d'Aula sulla riforma ai tempi del governo gialloverde, ricorda che i leghisti non si sbracciavano per il taglio di poltrone caro ai grillini.

 

LUIGI DI MAIO INCONTRA BEPPE GRILLO A ROMA 2

E ora alcuni escono allo scoperto, come Claudio Borghi, punta di lancia di un sentire più diffuso. Il più imbarazzato è però Nicola Zingaretti. Il Pd per ben tre volte votò No. Con un'inversione ad U un anno fa: dopo aver stretto il patto per il governo giallorosso, il Pd disse Sì nel voto finale. Con l'alibi che avrebbe ottenuto dalla maggioranza una nuova legge elettorale per bilanciare il vulnus di rappresentanza indotto dal taglio degli eletti in alcune regioni.

 

claudio borghi

Poi l'accordo con M5S sul sistema di voto proporzionale, con soglia di ingresso al 5%, è stato sabotato da Renzi. E ora Zingaretti è costretto a riunire una Direzione ai primi di settembre per decidere se dare indicazione di voto (probabile il Sì) o libertà di coscienza. E quindi spinge per strappare uno straccio di paravento - la riforma dei regolamenti, un primo accordo sulla legge elettorale - prima del 20 settembre.

 

flash mob m5s per il taglio dei parlamentari 2

«Non è un problema del Pd, Conte e la maggioranza dovrebbero capirlo», avverte. Il suo partito ribolle, sono in molti contrari tra i Dem: da Giorgio Gori agli ex presidenti Gianni Cuperlo e Matteo Orfini, da Tommaso Nannicini, fino all'ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti. Per non dire delle Sardine e di molti costituzionalisti, e del mondo culturale di riferimento del partito. Ma sono in molti a dire di sì, dal governatore Stefano Bonaccini all'ex segretario Maurizio Martina, fino al portabandiera Stefano Ceccanti. Convinto che l'accordo sul nuovo sistema di voto andrà in porto in un mese.

 

matteo orfini foto di bacco

«Capisco alcune perplessità, ma verranno fugate dall'avanzamento dei lavori che ci sarà sulle altre riforme». Del resto era la fine del bicameralismo la seconda gamba dei progetti di riforma costituzionale sostenuti nei decenni dalla sinistra, compresi quelli del Pci rilanciati da Nilde Iotti nel suo primo comizio da presidente della Camera a Piombino nel 1979: dove citò il superamento del bicameralismo, la riduzione del numero dei parlamentari e un Senato delle autonomie locali.

 

Oggi i grillini hanno scelto la riforma chirurgica per non fallire nell'impresa, ma la sinistra soffre, anche se avversò nel 2016 la riforma Renzi. E di conseguenza, soffre pure Renzi, che lascia libertà di voto su quel tema che gli costò la poltrona da premier: dopo aver perso il fatidico referendum sul taglio degli eletti e la fine del bicameralismo, il leader di Iv bolla il referendum su una riforma ritenuta di poco conto come «più inutile che dannoso». Corsi e ricorsi storici.