DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
A.La Mattina e U.Magri per "La Stampa"
Al Quirinale il pressing non è stato gradito. Anzi la pretesa dei falchi berlusconiani di strappare a Napolitano un aiuto presso la Corte Costituzionale, che il 19 giugno dovrà decidere la sorte del processo Mediaset, ha ottenuto il risultato opposto. Chi frequenta il Colle più alto esclude nella maniera più assoluta un passo di Alfano sul presidente: nei 16 minuti di colloquio, due giorni fa, mai il segretario del Pdl nonchè vicepremier si sarebbe azzardato a fare una richiesta così «irricevibile»...
Di sicuro, ragionano le rare colombe rimaste nel partito, tirare pubblicamente la giacca al capo dello Stato è il modo più sicuro per impedirgli di esercitare, se per assurdo lo volesse, qualunque forma di moral suasion sui giudici costituzionali. Per cui in queste ore nel Palazzo del Cavaliere va in scena una sorta di retromarcia.
Nessuno lancia più ultimatum sulla Consulta. Addirittura si registra un tentativo di svalutare l'impatto che quella sentenza potrà avere sui destini dell'imputato Berlusconi. Ne sono protagonisti gli stessi legali dell'ex premier.
Ghedini e Longo sono andati a consultare i precedenti giuridici. Accertando che una sentenza di Corte d'Appello è stato annullata dalla Corte Costituzionale in due soli casi nella storia della Repubblica, per giunta tra tante polemiche. Anche al collegio difensivo appare dunque poco probabile che la Consulta voglia azzerare il processo Mediaset in quanto non fu rispettato in una circostanza il legittimo impedimento di Berlusconi (era impegnato a presiedere il Consiglio dei ministri).
Più facile che la Corte prenda atto dell'errore commesso a Milano, ma deleghi la Cassazione a valutarne l'impatto concreto. Insomma, la difesa del Cavaliere non investe troppe speranze su questo passaggio. Gli avvocati si concentrano invece sul ricorso alla Suprema Corte da depositare entro il 22 giugno. Lì sono convinti di avere ottime carte per ribaltare la condanna a cinque anni, più l'interdizione dai pubblici uffici, comminata a Berlusconi.
Con una vena di grande rimpianto, di cui vecchi amici del leader Pdl danno privatamente testimonianza: se avesse sborsato nel 2003 i 30 milioni del condono tombale (legge Tremonti) l'intera vicenda dei diritti Mediaset non sarebbe deflagrata. Ma Silvio non ne volle sapere in quanto quell'anno l'azienda di famiglia, sempre per il condono, aveva già versato 60 milioni.
Acqua passata, anzi latte versato. Ora però si tratta di affrontare le emergenze che Berlusconi ha di fronte. E non sono poche. A Palazzo Grazioli, dove ieri sera si è riunito il vertice del Pdl, molta irritazione ha provocato il guanto di sfida del segretario Pd. Non è piaciuta la frase di Epifani collegata all'incombere delle sentenze, «dobbiamo essere pronti a tutto se dovesse prevalere negli altri la decisione di far saltare il tavolo». Berlusconi non accetta che si attribuisca al centrodestra la causa della crisi economica perché da lui sottovalutata.
Lo irrita soprattutto che venga negato dall'alleato-avversario uno dei punti su cui si fonda l'accordo di governo ovvero la cancellazione dell'Imu. Un'altro scivolone il Pd lo sta commettendo sulle riforme costituzionali, prima aprendo sul semipresidenzialismo ora frenando, ascoltando il canto delle sirene del «partito di Repubblica». «Se si vuole discutere di conflitto di interessi, siamo pronti, ma senza agitare questioni assurde sul pericolo che io rappresento per la democrazia italiana», ha detto Berlusconi.
Sono sempre le questioni giudiziarie in cima alle priorità del Cavaliere. Il quale manda in tv Daniela Santanché a dire che gli otto milioni di elettori che l'hanno votato reagiranno. Come? «Certo non andranno in giro a spaccare le vetrine, perché sono dei moderati, ma la ribellione sarà di smettere di pagare le tasse». Un altro modo per reagire è trascinare l'Italia di nuovo alle urne.
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