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Claudio Antonelli per ''la Verità''
L' editoriale del Corriere della Sera di ieri ci ha ricordato che memore dell' esperienza di quasi 20 anni fa, Romano Prodi è consapevole di proporre per la seconda vita della legislatura in corso una maggioranza modello Ursula von der Leyen estesa anche ad altre forze.
O meglio, basta leggere tra le righe dell' articolo di Paolo Mieli per capire che l' allargamento dovrebbe coinvolgere pure il partito di Silvio Berlusconi. «Lì per lì il suo consiglio», scrive Mieli riferendosi all' uscita di Prodi, «può essere apparso come fantasioso». In fondo per tenere in piedi il Conte bis basterebbero in aggiunta i voti della sinistra. «Eppure», prosegue Mieli, «della maggioranza modello Ursula c' è da scommettere, conoscendo l' intelligenza di Prodi, che ne sentiremo ancora parlare».
Tradotto in maniera più semplice significa che il tentativo di coinvolgere Forza Italia nel mucchione Pd-M5s sarebbe ancora in atto.
Soltanto quattro giorni fa il leader di Fi ha dichiarato apertamente di volersi piazzare sul lato opposto dei banchi del governo. «Faremo una opposizione ferma, coerente, senza sconti ma composta, la condurremo in Parlamento avendo come riferimento gli interessi della nazione, ma saremo pronti a mobilitarci se aumenteranno l' oppressione giudiziaria o l' oppressione fiscale», ha dichiarato Berlusconi un minuto dopo aver incontrato Conte a Palazzo Chigi. C' è però un argomento che potrebbe sensibilizzare il patron del Biscione e il fondatore di Forza Italia.
Sarebbe la tentazione Agcom. Il 20 settembre il Parlamento e poi il presidente del Consiglio saranno chiamati a definire i nuovi componenti dell' autorità per le comunicazioni. Colle, ex Margherita e in generale le forze per cui si esprime Romano Prodi sanno bene che quella nomina sarà importante per i prossimi mesi di Mediaset. Mesi nei quali la televisione della famiglia Berlusconi sarà chiamata a scelte importanti per cercare di diventare un player europeo.
Prima, però, dovrà una volta per tutte districarsi dall' attacco francese mosso da Vivendi che ieri è tornata ad attaccare il gruppo Berlusconi rivolgendosi addirittura alla Consob, ultimo atto di una dialettica di carte bollate che va avanti ormai da tre anni. Non è però un caso che il finanziere bretone abbia rialzato la testa. Sa che un governo giallorosso avrebbe un atteggiamento filo parigino e potrebbe pure mettere in discussione gli equilibri dell' etere. Il punto undici del programma di governo diffuso ieri parla esplicitamente di nuova legge contro il conflitto di interessi e riforma del sistema televisiviso.
A Berlusconi più che mai può fare comodo un presidente Agcom che non gli sia nemico e magari operi nell' ambito della legge purché il punto undici del contratto resti sulla carta.
A giugno, quando in Parlamento è iniziata la discussione sull' Agcom, il quotidiano La Repubblica ha parlato delle mire degli azzurri che vorrebbero Vincenzo Zeno Zencovich, docente di diritto comparato all' università Roma Tre e dal curriculum solido. Zencovich godrebbe di una certa «trasversalità delle relazioni».
In passato è stato legale dell' ex ministro Maria Elena Boschi nella querela con l' ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli.
Inoltre, fu lui - come spiegò Paolo Gentiloni in un' interrogazione dell' ottobre 2003 - uno degli architetti della legge Gasparri per la riforma della televisione. È evidente che bisognerà capire cosa vorrà fare il M5s, il quale però nelle ultime settimane ha dimostrato di essere interessato a una nomina dalle parti della privacy.
Nelle settimane scorse per il garante Agcom era circolato il nome di Davide Caparini, attuale assessore al Bilancio della Regione Lombardia, sempre attento durante la sua carriera al mondo della comunicazione, così come quella di Ginevra Feroni, ordinario di diritto costituzionale italiano all' università di Firenze. Con la rottura tra Lega e 5 stelle è cambiato tutto. Il Pd avrebbe buon gioco a portare avanti una candidatura renziana, l' unica che lascerebbe tranquillo Berlusconi e il Biscione.
Unico elemento a guastare le ipotesi è la commissione parlamentare in mano ai leghisti. Servono i due terzi favorevoli per confermare la nomina del presidente del Consiglio e il 20 settembre il Carroccio potrebbe sperimentare il nuovo agguato in stile Vietcong per punire sia il Pd sia lo storico ex alleato azzurro. Dal canto suo Berlusconi potrebbe cedere alla tentazione e concedere un appoggio esterno all' accrocchio Pd-M5s. Che, però, lo faccia senza la certezza di portare prima a casa la pelle dell' orso è molto difficile. Ma si sa le strade di Prodi & C. sono quasi infinite.
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