DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
1 - NAPOLITANO SI PREPARA A LASCIARE È APERTA LA PARTITA DEL QUIRINALE
Napolitano e Mario Monti fba e cb ac d bfa
Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera”
«Napolitano è una garanzia per tutto il Paese e non mi preoccupo delle voci». Il presidente del Consiglio Matteo Renzi risponde così alla prospettiva delle dimissioni che vogliono il capo dello Stato dimissionario all’inizio del nuovo anno. Eventualità che lo stesso Giorgio Napolitano prospettò al momento dell’insediamento di fronte al Parlamento. Il premier aggiunge: «Non mi preoccupo di fare previsioni sul futuro del capo dello Stato ma solo di fare bene il mio lavoro».
La prospettiva di una fine anticipata del mandato, rilanciata ieri da Stefano Folli su Repubblica , si intreccia con il tema di un possibile scioglimento delle Camere prima della scadenza naturale. E con la riforma della legge elettorale, sulla quale Matteo Renzi chiede un’accelerazione a Forza Italia, partito con il quale ha firmato il Patto del Nazareno. Il capo dello Stato accettò il nuovo mandato legandolo proprio a un processo di riforme, a partire dalla nuova legge elettorale.
Il ministro Maurizio Lupi è preoccupato dall’ipotesi di dimissioni: «Il presidente Napolitano aveva annunciato che una volta che il Paese fosse uscito dall’emergenza avrebbe fatto una scelta diversa. Non mi pare che siamo usciti dall’emergenza e quindi mi auguro che possa continuare. Anche perché in questi anni è stato una garanzia istituzionale per tutti noi e un punto di riferimento in Italia e all’estero».
Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi si augura che il capo dello Stato «resti il più a lungo possibile». Anche perché, aggiunge, «abbiamo un presidente della Repubblica autorevole, a cui dobbiamo tanto, per cui nutriamo una profonda stima. Non ci dobbiamo preoccupare per il dopo».
Per il consigliere politico di Forza Italia Giovanni Toti, l’argomento è «prematuro». Ma, poi spiega, «al momento, il Presidente è un elemento di stabilità: se sta lì, non è male». Il Mattinale, organo di Forza Italia vicino a Renato Brunetta e ai contrari al patto del Nazareno, dà un’interpretazione un po’ diversa e porta in superficie un timore di molti, ovvero che eventuali dimissioni possano accelerare la fine della legislatura: «Napolitano — scrive il Mattinale — non vuole essere colui che scioglie le Camere. Insomma, al di là delle negazioni di Matteo Renzi, in questa scelta del Colle c’è una certa profezia, che l’accelerazione improvvisa del premier nel sistemare a comodo suo la legge elettorale svela».
Ma c’è anche chi sostiene la tesi opposta, che cioè le dimissioni potrebbero ritardare i tempi per nuove elezioni legislative, visto che servirà il tempo per eleggere il nuovo Presidente e poi in primavera si dovrà votare per le Regionali. Fa sentire la sua voce anche il presidente del Senato Pietro Grasso: «Sono certo che il presidente della Repubblica darà e continuerà a dare il massimo per essere utile al nostro Paese in qualsiasi modo e con qualsiasi funzione» .
Fuori dal coro la voce di Beppe Grillo, che dal blog contesta il Quirinale, oltre che il presidente del Consiglio. Secondo il leader dei 5 Stelle, «il presidente della Repubblica eletto(si) per la seconda volta contro lo spirito della Costituzione, che decide lui quando dimettersi, ricatta di fatto il Parlamento».
Sul tema interviene anche Lucio Romano, presidente del gruppo Per l’Italia: «Ritengo del tutto inopportuna la discussione su quando il capo dello Stato possa dare le dimissioni. Fin dal discorso d’insediamento, il presidente ha ricordato di ritenere il mandato indissolubilmente legato alle riforme. Alla politica il compito di proseguire il lavoro per le riforme, nella consapevolezza dell’alto ruolo di garanzia del capo dello Stato per tutte le forze politiche».
2 - GLI ULTIMI TENTATIVI DEL PREMIER E IL PRESIDENTE: NON CE LA FACCIO PIÙ
Marzio Breda per il “Corriere della Sera”
Annuncio a fine anno. Non vuole sciogliere lui le Camere nel caso di voto anticipato L’ultimo che ha creduto di convincerlo è stato Matteo Renzi, una settimana fa. «Presidente, la prego di rivedere le sue decisioni e di restare più di quanto vorrebbe. Siamo in una fase critica per le riforme e non solo. C’è bisogno di lei, come garanzia per tutti, finché non usciremo dall’emergenza».
Questa la richiesta. Ma, anche se il premier aveva vestito le proprie parole con toni insistenti e, anzi, quasi accorati, la risposta non è cambiata: un no secco. Giorgio Napolitano è rimasto irremovibile, dopo che già da qualche tempo ripeteva di voler interrompere presto il secondo mandato al Quirinale.
Si era detto e scritto (anche sul Corriere , in diverse circostanze, benché Napolitano non gradisse «lo sterile gioco» delle supposizioni) che dalla chiusura del semestre italiano di guida dell’Ue, il prossimo 31 dicembre, ogni giorno sarebbe stato plausibile, come data per un congedo anticipato del capo dello Stato.
Nessun grande mistero, nessuna vera incognita. Certo, molti tendevano a far slittare nella tarda primavera — ma non oltre il suo novantesimo compleanno, il 29 giugno — l’orizzonte che il presidente era disposto a darsi. Altri, più drasticamente, stringevano i tempi a gennaio, basta pensare a Emanuele Macaluso, che già il 18 marzo scorso aveva profetizzato le dimissioni dell’«amico Giorgio» nel giro di «poco più di sei mesi». Ieri la questione è stata rilanciata per via mediatica, con una perentoria indicazione: Napolitano lascerà il Colle entro fine anno.
NAPOLITANO e EMANUELE MACALUSO
Per come si sono messi troppi fattori, è ormai un’ipotesi più che sensata. Infatti, per il presidente il limite di «sostenibilità» di un incarico così gravoso, sia sul piano istituzionale sia su quello personale, sembra ormai sul serio alle soglie di esaurirsi. Forse senza possibilità di ripensamenti, a costo di dover certificare un fallimento — in questo caso del Parlamento — rispetto alla speranza di potersene andare lasciando il Paese più «in ordine» di un anno fa.
Sulle sue scelte incombe anzitutto un problema di «sostenibilità» fisica, perché Napolitano è da mesi perseguitato da una serie di disturbi e acciacchi che gli impongono fastidiose terapie e lo fanno dormire poco e male. Tanto da confidare di recente ad Alfredo Reichlin, coetaneo e sodale di una vita: «Non ce la faccio più».
Guai su cui potrebbe forse anche passare sopra, per un altro po’, a un paio di condizioni. Se vedesse che il percorso delle riforme costituzionali, certo non brevissimo, fosse costruttivamente imboccato. E se si riuscisse a varare rapidamente almeno un nuovo sistema elettorale (da realizzare per legge ordinaria, dunque attraverso un itinerario meno problematico), in grado di sostituire il relitto legislativo che resta in piedi dopo la sentenza della Consulta sul famigerato Porcellum. Ma su entrambi questi fronti, che erano fra le precondizioni da lui poste per accettare un reincarico comunque a termine, nonostante i suoi continui richiami la politica è impantanata.
Non solo. Con i due maggiori partiti impegnati in reciproche prove di leadership e con intermittenti fibrillazioni su alleanze fondate solo su calcoli di convenienza, tra la seconda metà di gennaio e febbraio potrebbe accadere di tutto. Anche che il governo dichiari forfait, magari sulla base di qualche nuovo sondaggio, ciò che ucciderebbe la legislatura. E Napolitano, si sa, non vuole firmare uno scioglimento delle Camere che renderebbe l’Italia ingestibile per alcuni mesi, provocando un lungo stallo proprio quando l’Europa si aspetta da noi scelte concrete e convincenti sull’economia. Andandosene prima, il presidente metterebbe quantomeno l’intero sistema dei partiti di fronte alle proprie responsabilità.
Se tale scenario è davvero fondato e se non dovessero intervenire variabili che nessuno azzarda, la procedura potrebbe essere questa. A fine dicembre, durante l’incontro con le alte cariche dello Stato o nel messaggio agli italiani di fine anno, il preannuncio delle imminenti dimissioni.
Poi, nel giro di qualche settimana, le dimissioni formali. Da quel momento scatterebbero i 15 giorni previsti per la convocazione delle Camere e la designazione delle deputazioni regionali, prima che i cosiddetti «mille elettori» (ma sono qualcosa di più) comincino a votare per il nuovo inquilino del Quirinale.
E scatterebbe pure, anche se le prassi costituzionali non sono univoche, la supplenza da parte della seconda carica dello Stato. Cioè del presidente del Senato, Piero Grasso. Uno schema che impone un’osservazione inquietante: se un lampo non illuminerà i politici, il successore di Napolitano rischierebbe di essere eletto da un Parlamento in articulo mortis.
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