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Da "Il Foglio"
Quando lo scorso fine settimana il primo ministro australiano Kevin Rudd ha annunciato che le prossime elezioni politiche si terranno il 7 settembre, il più entusiasta è stato il Daily Telegraph (omonimo del più celebre quotidiano inglese), giornale tra i più letti nel paese e proprietà della News Corp. di Rupert Murdoch. "Finalmente avete la possibilità di... cacciare a calci questa gente", ha titolato lunedì a caratteri cubitali.
Ieri il Telegraph ha rincarato la dose, raffigurando Rudd, il suo vice Anthony Albanese e Craig Thomson, un parlamentare laburista accusato l'anno scorso di truffa e furto, nelle vesti di gerarchi nazisti. Erano i nazisti sgangherati della vecchia sitcom americana "Hogan's Heroes", ambientata in un campo per prigionieri americani, ma il colpo d'occhio era comunque notevole.
La reazione di Rudd all'attacco del Telegraph è stata goffa, isterica. In un'intervista televisiva Rudd si è lamentato di come Murdoch stia sferrando colpi bassi contro di lui, ma si è subito visto sommergere dalle rivendicazioni di libera critica del Telegraph e dagli sberleffi del suo avversario, il conservatore Tony Abbott: sei "thinskinned", non hai la corteccia che serve per sopportare le critiche della stampa, ti lamenti come una femminuccia. Il premier sa che i sondaggi lo vedono in svantaggio, e che con Murdoch in campo contro di lui la rimonta rischia di diventare impossibile.
La News Corp. è proprietaria dei tre maggiori giornali australiani e detiene il monopolio della tv via cavo. Rudd è già stato primo ministro australiano tra il 2007 e il 2010. La sua premiership finì in maniera improvvisa quando, davanti a un crollo dei sondaggi, la sua vice Julia Gillard lo scalzò con un colpo di mano, in una notte in cui Gillard prendeva il controllo del partito davanti agli occhi impotenti di Rudd, per poi sfidarlo il giorno dopo a un ballottaggio interno già vinto. Era il 24 giugno del 2010. Rudd ha aspettato tre anni, con due precedenti tentativi falliti per ottenere la sua vendetta, e nel frattempo ha logorato Gillard dall'interno.
Lo scorso giugno Gillard, stanca dei continui attacchi dei seguaci di Rudd, ha indetto un referendum dentro al partito per deciderne la leadership: chi avesse perso si sarebbe ritirato per sempre dalla vita politica. Era una mossa disperata: il partito era incerto, ma da tempo i sondaggi dicevano che gli australiani preferivano Rudd alla guida del Labour. Il ballottaggio si è deciso solo a poche ore dal voto, quando il leader sindacale Bill Shorten ha dichiarato di voler spostare su Rudd i suoi voti decisivi, dandogli la vittoria.
Shorten aveva fatto lo stesso in favore di Gillard tre anni prima: è l'unico uomo che abbia pugnalato alle spalle due primi ministri, entrambi del suo partito. Con Rudd in carica, i sondaggi del Labour hanno iniziato a risalire timidamente. Il premier ha cercato di approfittare del momento, annunciando (sul filo dell'irregolarità ) elezioni con appena un mese di campagna elettorale.
Subito è arrivata la mazzata Murdoch. I bene informati dicono che dietro alla campagna selvaggia del Telegraph contro Rudd ci sia uno dei luogotenenti più fidati di Murdoch, quel Col Allan caporedattore del New York Post, chiamato in Australia da Rupert per dare "maggiore leadership editoriale" ai giornali in vista della campagna elettorale.
Allan è famoso nell'ambiente per non fare prigionieri, e il suo nome di battaglia dentro l'azienda è Col Pot. Murdoch ha due motivi per avercela con il Labour: il primo (è stato lo stesso Rudd a sostenerlo) è il progetto dell'Nbn (National broadband network), una grande infrastruttura di Internet a banda larga che metterebbe a rischio l'impero delle tv via cavo di News Corp.
Secondo: è probabile che Murdoch sia stato infastidito (ma non abbastanza da esserne preoccupato) dai fallimentari progetti di regolamentazione del mercato dell'informazione presentati a marzo dal ministro laburista Stephen Conroy. E' da più da un decennio che l'Australia non legifera sulla regolamentazione dei media, anche per l'ingombrante presenza di Rupert.
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