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1. VANNINO CHITI: âLA DISCIPLINA DI PARTITO NON VALE IN QUESTO CASO E IO HO I VOTI DI M5S E FI'
Lavinia Rivara per âLa Repubblica'
«Non cerco visibilità e non ho fondato correnti. Anzi, sono l'unico chitiano d'italia. Ma il Pd non può essere un partito plebiscitario». Vannino Chiti al telefono è un fiume in piena; è a Strasburgo per l'assemblea del Consiglio d'Europa mentre al Senato sulla sua riforma del bicameralismo si coagula un fronte anti-Renzi che va dai 5Stelle a Forza Italia, passando per un fetta della minoranza pd. «Io non sono anti-renziano - ci tiene a precisare - Nel 2009, quando Matteo era presidente della Provincia, mi propose di candidarmi sindaco di Firenze con il suo sostegno. Rifiutai perché ritenevo giusto un ricambio generazionale. E si candidò lui».
Però lui ora l'attacca. Parla di senatori del Pd in cerca di visibilità e di proposte che non hanno nessuna possibilità di essere approvate.
«Non cerco nessuna visibilità , voglio solo una buona legge. Renzi dice che il mio testo non passerebbe? Stando alle dichiarazioni senza il ddl e il diktat del governo la nostra proposta potrebbe avere il sì non solo della maggioranza, ma anche di Forza Italia e M5S. Non mi sembrerebbe un esito politico disprezzabile».
Il Pd però ha dato via libera al testo del governo. Se lei ne mantiene uno alternativo che fine fa la disciplina di partito?
«Qui si modifica la Costituzione. C'è un dovere di responsabilità , autonomia e coerenza con la propria coscienza oppure no? Altrimenti non saremmo il partito democratico, né un partito personale: saremmo un partito plebiscitario e autoritario. Altro che sinistra europea. Ma non è neppure pensabile che sia così».
Ma perché insistere sull'elezione dei senatori quando neanche tutta la minoranza del suo partito è d'accordo?
«Se la Camera da sola dà la fiducia al governo e ha l'ultima parola sulle leggi, il Senato deve essere una istituzione di garanzia, mantenere un ruolo paritario su Costituzione, ordinamenti Ue e leggi elettorali.
Quindi non può essere un'assemblea casuale, senza pluralismo politico (col testo Boschi oggi Fi sarebbe irrilevante, M5S e Sel di fatto assenti) e senza presenza femminile. La cosiddetta minoranza (ma votano sempre tutti a favore tranne Fassina) vorrei mi spiegasse come sta insieme una legge iper maggioritaria alla Camera, senza neanche le preferenze, e un Senato di nominati. La Costituzione non si può stiracchiare. Altrimenti si producono scempi».
Non teme di essere usato da 5Stelle e Fi per dividere i democratici? E come voterà se non saranno accolte le sue tesi?
«Non mi faccio strumentalizzare dai grillini, come Renzi non si fa strumentalizzare né strumentalizza Verdini. Guardo ai contenuti, non invento trappole per il governo né ostacoli per le riforme. Come voterò? à prematuro dirlo. Illustreremo in commissione il nostro ddl, poi il relatore presenterà un testo base e su quello proporremo eventuali emendamenti. Auspico solo che tutti, governo, gruppi, singoli, si ricordino quale fu l'atteggiamento di chi ci ha consegnato la Carta costituzionale. Il governo di unità nazionale venne meno ma la Costituzione fu approvata quasi all'unanimità ».
2. BERSANI: âIL TESTO VA CAMBIATO'
Monica Guerzoni per âIl Corriere della Sera'
«Io sono leale, responsabile e voglio bene alla ditta. Ma prima di tutto, viene l'Italia. Le riforme facciamole, però senza pasticci. Perché qui c'è in gioco la democrazia». Pier Luigi Bersani è appena sceso dal Colle, dove è stato ricevuto dal capo dello Stato. Approda nel Transatlantico di Montecitorio, incassa complimenti per la cravatta rosso-quirinalizio e si vede subito che ha voglia di parlare: «Ho salvato il cervello e non intendo consegnarlo».
L'ex segretario del Pd, pienamente ristabilito dopo l'intervento, ce l'ha con la riforma costituzionale e le sue parole puntano dritto a Palazzo Chigi: «Il combinato disposto tra Italicum e Senato delle autonomie è inaccettabile. Se c'è il monocameralismo bisogna prevedere dei contrappesi. Non è possibile che chi vince prende tutto, governo, presidente della Repubblica, nomine...».
Con i senatori democratici divisi in due blocchi, renziani da una parte e neo riformisti dall'altra, Bersani sposta il suo peso sul secondo piatto della bilancia: quello del disegno di legge di Vannino Chiti, sottoscritto da una robusta fronda di 22 senatori. «Va bene andare avanti, ma prendiamoci una serata per discutere e pensare a un progetto per il futuro dei figli, che sia democratico e che regga negli anni. Non facciamo l'errore del Titolo V, per poi ritrovarci tra cinque anni con un bel pasticcio. Parliamone e sono sicuro che una soluzione la troviamo».
Linea dura. Ma il punto non sono i tempi, è il merito. Renzi vuole arrivare al 25 maggio con la riforma approvata in prima lettura: «Va bene anche piantare la bandierina entro le Europee, perché vincere è importante, ma non possiamo sbagliare. Adesso va di moda risparmiare e quindi facciamo pure il Senato non elettivo, però con i necessari contrappesi». E la Camera? Ha un senso che restino 630 deputati mentre i senatori scendono da 315 a 148? «No, con 630 deputati non può funzionare e potremmo averne di meno anche qui. Un Senato di nominati è inaccettabile». Ha ragione chi insiste nel voler eleggere i senatori? «Aspettiamo il testo base e poi presenteremo i nostri emendamenti. Qualche correzione sarà indispensabile».
E qui Bersani si lancia in un ragionamento che non aveva mai fatto prima. Ricorda che lui, dopo le Politiche del 2013, si affrettò a dichiarare di non aver vinto: «Invece il ventennio berlusconiano è finito e il Pd si è preso tutto. Adesso tocca a noi. Ma c'è un aspetto che non possiamo sottovalutare, il Pd si chiama democratico perché abbiamo a cuore la democrazia».
Lo preoccupa la legge elettorale, con quella soglia «inaccettabile» per i partiti coalizzati: «Stiamo attenti a non inserire nel sistema un elemento corruttivo, perché liste e listine di pensionati, vedove o via elencando, che senza ottenere un solo parlamentare concorrono a far vincere il premio, provocano un rischio di corruzione altissimo. Se con il 25% il tuo partito prende tutto, Parlamento, governo, Quirinale e Corte costituzionale, qualcosa in cambio gli devi dare, giusto? Soldi, nomine, ricompense...». La sirena di Montecitorio richiama i deputati e Bersani saluta per infilarsi in Aula: «Vado a votare». Un'ultima domanda, onorevole. Le è tornata la voglia di riprendersi la ditta? «Ma no, abbiamo già dato - allarga le braccia Bersani - guidare il Pd è faticoso!».
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