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Marco Zatterin per “la Stampa”
JEAN CLAUDE JUNCKER CON ANGELA MERKEL
Stamane si parte, Jean-Claude Juncker presenta la squadra. L’annuncio è previsto per mezzogiorno, anche se ieri sera l’organigramma dei ventotto del Berlaymont era «ancora oggetto di negoziato». Il lussemburghese che guiderà la Commissione Ue da novembre deve combinare esigenze molteplici, casacca politica, genere, nazionalità, competenze. Tutto deve quadrare, ma alcuni segnali sono già chiari.
Il quinquennio che s’apre offre ragioni di sorriso soprattutto a Frau Merkel e ai popolari, punta su crescita e investimenti senza indietreggiare in modo rilevante rispetto alle decise richieste di riforme e consolidamento. E aprendo solo poco sui margini di flessibilità.
MERKEL MURALES DI FRONTE ALLA BCE FRANCOFORTE
I nomi sono noti, ufficiosi almeno sino a che non passeranno l’esame dell’Europarlamento. Nove donne come nell’esecutivo Barroso, cinque ex primi ministri, esperienze governative diffuse e ben distribuite (11 candidati sono attualmente in carica).
Gli esponenti del Ppe sono 14, a partire da Juncker: la famiglia popolare ha fatto il pieno di poltrone, portando a casa anche il Consiglio (Tusk) e in prospettiva l’Eurogruppo (De Guindos). L’italiana degli Esteri, Federica Mogherini, è la socialista più importante dopo il presidente del parlamento Schulz, che scade fra due anni e lascerà a un altro popolare.
Pierre Moscovici and Marie Charline Pacquot article A CAFA DC x
«Saremo forti e differenti», assicurano dalle parti di Juncker. Certo è che a guardare i nomi, nel gioco dei falchi e delle colombe della governance di bilanci e congiuntura, non sembra che le seconde possano spuntarla facilmente. Se finisce come si dice, Pierre Moscovici sarà il responsabile economico, un «nuovo Rehn depotenziato». La Francia s’è battuta per la carica, nella speranza di poter spostare l’attenzione dal rigore alla crescita. Proprio perciò, i tedeschi avevano dubbi.
IL PRIMO MINISTRO FINLANDESE JYRKI KATAINEN
Juncker non poteva dire «no» a Hollande. E’ allora ha inventato il ruolo di «filtro». Ha preso i quattro premier del team e ha pensato di nominarli vicepresidenti della Commissione per progetti speciali. Il risultato è che il lettone Valdis Dombrovskis dovrebbe avere una delega per la finanza e il finlandese Katainen (o l’estone Ansip) una missione per la Crescita, senza portafoglio e direzione generale, cosa che invece sarà data a Moscovici.
Il primato del vicepresidente prescelto potrebbe risiedere nei poteri analoghi a quelli del presidente, quindi nella possibilità di definire l’agenda della Commissione. In altre parole, si ritroverebbe l’ultima parola su cosa si può discutere e cosa, dote che potrebbe risultare in un veto sugli altri. Moscovici compreso.
E’ una fonte di conflitto possibile che potrebbe non far bene alla Commissione e all’Europa in crisi. Ormai è accettato il concetto secondo cui rigore e riforme sono necessarie, ma non sufficienti, e che serve spingere sulla domanda per rilancia il ciclo.
JUNCKER STROZZA LUIS DE GUINDOS
Di qui il piano dei 300 miliardi - insieme col pressing per attuare le riforme concordate è l’ultima chance per evitare la deflazione - che dovrebbe essere governato in condominio. Ansip è un liberale rigoroso. Katainen ha fama di falco, ma è più conciliante di quel che pare, e ha detto in più occasioni di essere pronto al dialogo.
Il primo ministro lettone Valdis Dombrovskis
Moscovici è un socialista esperto e tranquillo, deve riuscire a non farsi tradire dalla sua missione di flessibilizzatore. I due livelli rischiano di scontrarsi, non aiuterebbe le istituzione. Così tutto dipende dalla diplomazia di Juncker.
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