“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
A.M. per “Libero quotidiano”
Si è fatta fuori da sola e per concludere ieri Theresa May ha formalizzato le dimissioni dal suo incarico di leader del Partito conservatore. Dopo aver sprecato tutte le occasioni, quando disponeva di una salda maggioranza di 331 deputati su 650 a Westminster, che le consentiva di governare dal luglio 2016 con una relativa tranquillità, nel 2017 aveva deciso di indire le elezioni generali nel Regno Unito, racimolando però appena 317 seggi.
Certo, le condizioni erano sensibilmente mutate: l' anno prima, il 23 giugno 2016, i cittadini britannici si erano espressi a favore dell' uscita del Regno Unito dall' Unione Europea, il suo predecessore David Cameron aveva fallito la missione di concordare un abbandono concordato con Bruxelles e si era dovuto fare da parte. Poi la data della Brexit è stata ripetutamente rimandata e da quel punto il governo non è più risalita. Anzi ha fatto precipitare i Tories dal 42,3% dei consensi conquistato alle ultime legislative all' 8,79% delle europee dello scorso maggio.
L' annuncio del ritiro era già stato anticipato due settimane fa dalla premier, che ieri ha inviato una lettera al vice presidente del 1922 Commitee, l' organismo che rappresenta la base parlamentare del partito. Ora si apre la gara alla sua successione. La May continuerà a guidare il governo fino alla scelta di un nuovo leader, che dovrebbe essere completata entro la settimana del 22 luglio.
Al momento hanno espresso pubblicamente l' intenzione di correre per la successione 11 conservatori. I deputati Tory hanno tempo fino alle 17 locali di lunedì per candidarsi formalmente. Gli iscritti al partito, e successivamente i deputati conservatori, voteranno diverse volte, finché resteranno in corsa solo due persone.
Il più quotato pare l' ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri Boris Johnson, 54 anni, considerato a torto il «Trump inglese», poiché al contrario si è posto a sinistra votando a favore del matrimonio gay, condivide le opinioni politicamente corrette sul cambiamento climatico e sulle migrazioni. Inoltre, secondo i suoi detrattori, si è dimostrato quanto meno ambiguo anche sulla Brexit, firmando due lettere, una favorevole e una contraria, prima di decidere da che parte stare. Ora afferma di volere un' uscita, con o senza accordo, entro il 31 ottobre, ma potrebbe ancora cambiare idea.
Il compito che attenderà il prossimo leader conservatore, chiunque egli sia, comunque sarà particolarmente arduo. La maggioranza, in ogni caso, è incalzata dall' euroscettico Nigel Farage, che con il suo neofondato Brexit Party ha vinto le elezioni europee nel Regno Unito e ora spinge per l'opzione di un' uscita senza accordo.
Nella mattinata di ieri Farage si è recato a sorpresa a Downing Street proprio per chiedere, alla luce del suo risultato elettorale, di poter sedere al tavolo dei negoziati con l' Ue. Il Brexit Party, però, ha dovuto incassare un colpo alle urne nelle elezioni suppletive di giovedì: non è infatti riuscito a ottenere il suo primo seggio al Parlamento britannico; nella città orientale di Peterborough ad aggiudicarselo è stato il Labour, che ha tuttavia visto crollare i suoi consensi del 17%, mentre i conservatori sono precipitati del 25 per cento.
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