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“TRA USA E ISRAELE C’È UN DISALLINEAMENTO OPERATIVO SEMPRE PIÙ VISIBILE” – ETTORE SEQUI ESPLORA LA STRATEGIA DI “THE DONALD” CHE POTREBBE RICONOSCERE LO STATO PALESTINESE: “NON A CASO, NEL PROGRAMMA DEL VIAGGIO DI TRUMP NON È PREVISTA UNA TAPPA IN ISRAELE. È UN SEGNALE PRECISO. ISRAELE NON È PIÙ IL PERNO ESCLUSIVO DELLA DIPLOMAZIA AMERICANA IN MEDIO ORIENTE. IL RICONOSCIMENTO DELLO STATO PALESTINESE EMERGEREBBE COME UNO STRUMENTO POLITICO PENSATO PER RASSICURARE IL FRONTE ARABO. COSTITUIREBBE PER RIAD UN RISULTATO POLITICO SPENDIBILE, SIA SUL PIANO INTERNO CHE REGIONALE, OFFRENDO LA COPERTURA SIMBOLICA NECESSARIA PER…”
Estratto dell’articolo di Ettore Sequi per “la Stampa”
benjamin netanyahu e donald trump nello studio ovale
Secondo notizie ancora da confermare (e che l'ambasciatore americano in Israele si è affrettato a smentire) il presidente Trump potrebbe annunciare il riconoscimento dello Stato palestinese in occasione del suo imminente viaggio nel Golfo […] avrebbe un impatto geopolitico profondo.
Il primo elemento da considerare è il contesto temporale e simbolico della visita: il viaggio avviene mentre l'offensiva israeliana su Gaza si intensifica, non solo sul piano militare, ma anche per il peso crescente della catastrofe umanitaria. Per la prima volta, l'idea di una «occupazione permanente» viene formalmente assunta come orientamento di governo. Si tratta di un cambio di orizzonte strategico che esclude ogni transizione civile, ogni coinvolgimento arabo nella fase postbellica, e ogni prospettiva negoziale con interlocutori palestinesi moderati. Israele parla di «fuoriuscita volontaria», ma la domanda resta inevasa: volontaria per andare dove?
benjamin netanyahu nella striscia di gaza
In questo contesto, cresce l'irritazione americana per una condotta israeliana ritenuta politicamente controproducente. L'offensiva su Gaza rischia di compromettere gli obiettivi strategici del viaggio di Trump nel Golfo, alimentando tensioni proprio con quei partner che Washington intende consolidare.
Per questo, la Casa Bianca potrebbe decidere di offrire a Riad e agli altri governi della regione un gesto tangibile, che consenta la firma di intese strategiche senza esporli alla delegittimazione interna. In questo quadro, il riconoscimento dello Stato palestinese emergerebbe come uno strumento politico pensato per rassicurare il fronte arabo.
donald trump benjamin netanyahu foto lapresse1
Se confermata, la scelta americana segnalerebbe a Israele l'esistenza di limiti nelle sue attuali scelte operative, lungo tre assi precisi. Primo, la necessità di evitare interferenze nei colloqui tra Washington e Teheran, che richiedono una de-escalation regionale e un contesto privo di provocazioni militari. Secondo, il crescente disagio per la gestione della crisi a Gaza, considerata moralmente insostenibile e politicamente dannosa, soprattutto alla vigilia di una missione di alto profilo.
Terzo, la delusione per lo stallo nel dialogo riservato tra Israele e Turchia sulla definizione delle rispettive aree d'influenza in Siria, un passaggio ritenuto essenziale da Washington per ridurre il proprio impegno militare diretto e contenere l'espansione iraniana.
bombardamenti israeliani sulla striscia di gaza il giorno di pasqua
A Riad, Trump proporrà un'intesa bilaterale alternativa all'accordo triangolare originario Usa-Arabia-Saudita-Israele che prevedeva sostegno militare americano, cooperazione nucleare e normalizzazione con Tel Aviv, subordinata al riconoscimento israeliano di uno Stato palestinese. Non si tratta di una rottura con Tel Aviv, ma della presa d'atto che oggi Riad è cruciale per Washington su tre dossier globali: la gestione del prezzo del petrolio, come leva di pressione su Iran e Russia, il contenimento regionale dell'Iran e gli equilibri strategici con la Cina.
donald trump benjamin netanyahu foto lapresse4
Israele resta un alleato centrale, ma non può più condizionare ogni iniziativa americana nella regione.
Il riconoscimento dello Stato palestinese costituirebbe per Riad un risultato politico spendibile, sia sul piano interno che regionale, offrendo la copertura simbolica necessaria per presentare la normalizzazione con Israele non come una concessione unilaterale, ma come parte di una strategia più ampia di stabilizzazione e riequilibrio mediorientale.
In questo contesto, non si può escludere che gli Stati Uniti - nel tentativo di consolidare il rapporto strategico con Riad e di contenere l'influenza di Russia e Cina - scelgano di rilanciare una versione rivista del "Prosperity Plan" annunciato da Trump nel gennaio 2020 e che prevedeva, tra l'altro, la creazione di uno Stato palestinese demilitarizzato, con sovranità circoscritta. Una formula che potrebbe riemergere oggi in veste aggiornata, adattata al nuovo contesto negoziale.
donald trump benjamin netanyahu foto lapresse5
La divergenza tra Washington e Tel Aviv non si manifesta dunque in forma di rottura, ma di differenziazione strategica delle priorità. […] Non c'è frattura tra alleati, ma un disallineamento operativo sempre più visibile. Non a caso, nel programma del viaggio di Trump non è prevista una tappa in Israele. Non si tratta di una scelta ostile, ma di un segnale preciso. Israele non è più il perno esclusivo della diplomazia americana in Medio Oriente. Il riconoscimento dello Stato palestinese sarebbe una mossa di realismo strategico. Non risolverebbe il conflitto, ma segnerebbe la svolta della proiezione americana nella regione.
benjamin netanyahu donald trump foto lapresse
BENJAMIN NETANYAHU E ISRAEL KATZ VISITANO LA STRISCIA DI GAZA
aiuti umanitari a gaza 1
donald trump benjamin netanyahu foto lapresse7
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