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Marco Travaglio per il “Fatto Quotidiano”
MARCO DONATI ROBERTO ROSSI MARIA ELENA BOSCHI AREZZO
Non è un bello spettacolo vedere alcuni deputati dei 5Stelle, tra cui Alessandro Di Battista, salire sul palco in piazza ad Arezzo, e accusare il procuratore Roberto Rossi di non essere "al di sopra delle parti" nell' indagine sul crac Etruria. È accaduto domenica, nella manifestazione del M5S con i risparmiatori truffati. Non che i magistrati debbano essere immuni da controlli e critiche, anzi: i loro provvedimenti, una volta letti, devono essere valutati nel merito.
Ma accade solo in Italia che i politici comméntino indagini e sentenze, spesso senza conoscerle, affibbiando patenti ideologiche e tessere partitiche a chi le firma, a seconda del colore degli indagati e imputati: se una toga indaga o processa uno di destra, allora è di sinistra, e viceversa. E non c' è offesa più sanguinosa, per un magistrato tenuto all' indipendenza e all' imparzialità, dell' accusa di partigianeria.
Anche perché delle due l' una: se la toga è parziale, non mancano gli strumenti istituzionali (interrogazioni parlamentari ed esposti al Csm) per sanzionarla o almeno trasferirla dove non sia sospettabile di parzialità; se è imparziale, gli attacchi ne minano la serenità, trascinandola nella contesa politica da cui deve tenersi ed esser tenuta fuori. Perciò i politici dovrebbero astenersi da attacchi a questo o quel pm.
Valeva per la destra, che per vent' anni se l' è presa coi pm che indagavano troppo (la Lega inscenò a Verona un corteo funebre con tanto di bara contro il procuratore Papalia, reo di aver inquisito le Camicie Verdi; e non si contano le gazzarre forziste contro la Procura di Milano che osava processare il capo). Valeva per il centrosinistra, che più volte protestò per indagini sui suoi cari.
E vale oggi per i 5Stelle, anche se Rossi non indaga su di loro e non è accusato di indagare troppo, semmai troppo poco sul padre della ministra Boschi, essendo consulente del governo di cui la Boschi fa parte. Non se ne può più dei partiti che ogni due per tre invocano il "primato della politica" e intanto si aggrappano ai giudici sperando che levino loro le castagne dal fuoco salvando o rovesciando il governo di turno.
maria elena boschi roberto rossi ad arezzo nell ottobre 2015
Oltretutto, checché se ne dica, nessun governo è mai caduto per un provvedimento giudiziario, a parte nel 2008 il governo Prodi-2 (che però si reggeva su un solo voto al Senato, ma avrebbe potuto resistere se il ministro indagato Mastella non avesse già deciso di tornare con B.). Ed è improbabile che il governo Renzi cadrà se papà Boschi - com' è probabile - verrà indagato per la bancarotta di Etruria.
Ciò detto, siccome non siamo politici ma giornalisti, ripetiamo ciò che diciamo in beata solitudine da due mesi: come può il pm Rossi continuare a fare il consulente di Palazzo Chigi e condurre con la dovuta serenità un' inchiesta che, specie dopo la dichiarazione d' insolvenza di Etruria, investe in pieno papà Boschi? Quando fu sentito dal Csm il 28 dicembre, la situazione gli consentiva ancora di sciogliere il rapporto con Palazzo Chigi e di indagare sulla banca del buco. Ora non più.
Nell' audizione in I Commissione (competente sui trasferimenti per incompatibilità ambientale o funzionale), il consigliere Ardituro gli domandò: "Ha qualche tipo di rapporto o conoscenza con la famiglia Boschi?". E lo sventurato rispose: "Non conosco nessuno, non sapevo neanche come fosse formata quella famiglia. Ho incontrato Maria Elena Boschi in alcuni appuntamenti istituzionali e pubblici, mentre il padre l' ho visto solo in fotografia sui giornali". E giurò che la consulenza non era un problema perché Boschi sr. non era indagato né sospettato.
Poi Panorama ha scoperto che nel 2010 Rossi indagò papà Boschi, per turbativa d' asta, estorsione, riciclaggio ed evasione, non lo interrogò mai e ne propose due volte l' archiviazione, ottenendola nel 2013.
Qualche mese dopo, mentre già indagava su Etruria (dove Pier Luigi Boschi era vicepresidente, il figlio Emanuele manager del controllo costi e crediti deteriorati, e la figlia Maria Elena piccola azionista), chiese e incassò da Renzi la conferma della consulenza avviata sotto Letta. Il che rende assolutamente inverosimile che ignorasse "come fosse formata la famiglia Boschi". E totalmente assurdo che non abbia informato il Csm dell' indagine archiviata fin dal 2014, quando ottenne il via libera al rinnovo della consulenza.
Infatti il Csm, che aveva frettolosamente chiuso la pratica, l' ha riaperta. Rossi ha scritto una lettera di autodifesa giocando sulle parole: "La domanda era sulle conoscenze personali, che ribadisco di non avere. Le indagini precedenti non sono causa di incompatibilità".
Mica tanto. Nel 2002 il pm romano Adelchi D' Ippolito chiese al Csm il via libera per una consulenza giuridica col governo B.; e il Csm glielo negò perché tre anni prima aveva archiviato un' indagine su B. per corruzione e metteva "a rischio i valori di indipendenza e imparzialità di cui si alimenta la funzione giudiziaria". Ora l' archiviato non è Renzi, ma il padre della ministra a lui più vicina. Siamo sicuri che, complici le omissioni e reticenze per mantenere la consulenza, Rossi sia la persona giusta per investigare sul crac Etruria?
matteo renzi maria elena boschi
Se ora indaga papà Boschi, qualcuno dirà che lo fa per rifarsi una verginità. Se non lo indaga, qualcuno dirà che lo fa perché collabora col governo, o per non darla vinta ai suoi accusatori. È un vicolo cieco da cui, ormai, non può uscire neppure rinunciando alla consulenza. Siccome è lui a esservisi cacciato, al Csm non resta che una cosa da fare: trasferirlo altrove e passare il fascicolo Etruria a un pm che non solo sia, ma anche appaia imparziale.
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