“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Estratto dell’articolo di Stefano Stefanini per “La Stampa”
[…] Il Presidente Trump fa della Groenlandia una questione di sicurezza nazionale a fronte «degli investimenti di Cina e Russia nell'Artico» recita un laconico comunicato della Casa Bianca dopo la telefonata Trump-Frederiksen. Questa versione ufficiale non regge per due motivi.
Primo, la premier danese avrebbe offerto una rafforzata cooperazione militare e nello sfruttamento delle preziose risorse minerarie (terre rare in grande domanda internazionale).
Secondo, e soprattutto, la Groenlandia non è territorio Ue ma è territorio Nato. Nulla impedisce agli Usa di concordare con l'alleato danese quanto necessario a garantire non solo la difesa dell'isola ma anche delle rotte marittime - il «passaggio a Nord Ovest» - che si stanno aprendo a causa del disgelo artico - di quel cambiamento climatico che, quando invece gli fa comodo, Trump chiama imbroglio.
Non sappiamo quali siano le motivazioni di fondo del Presidente americano. L'improvviso ritorno all'espansione territoriale americana ha colto tutti di sorpresa. A Washington non era in agenda da più di un secolo.
Sul piano dei principi, del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite, mette certamente in difficoltà la comunità internazionale nella misura in cui, per realizzarla, Donald Trump è pronto - e lo dice - a ricorrere alla coercizione.
Magari solo economica, ma senza escludere la mano armata. All'atto pratico configura una sorta di diritto territoriale del più forte. Le grandi potenze, o le medie a spese delle piccole e delle povere, possono allargarsi se lo ritengono necessario. Con le buone o con le cattive. Ma se lo possono fare gli Stati Uniti nell'adiacente Artico, o in America centrale, perché non la Russia in Europa centrale o nel Mar Baltico, o la Cina con Taiwan e nel Mar cinese meridionale? Ritorno alla legge della giungla?
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