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Giuliano Foschini per La Repubblica
Ci sono diecimila euro. E c'è almeno una persona che mente tra un imprenditore, un professore, un prete e un finanziere. Secondo i giudici del Riesame, certo non mente il finanziere. La storia è quella della presunta mazzetta da diecimila euro che l'Ilva avrebbe versato al perito del tribunale, ingegner Lorenzo Liberti, per aggiustare una relazione. Diecimila euro che l'Ilva dice siano invece serviti per finanziare la Chiesa.
I giudici non credono affatto però a questa versione. Sostengono che a inchiodare l'azienda ci sono le fotografie che testimoniano l'incontro in autogrill tra il capo delle relazioni istituzionali dell'Ilva, Girolamo Archinà e Liberti: immagini che immortalano il passaggio di un plico. E ci sono le intercettazioni che raccontano come Archinà quel giorno avesse fatto preparare una busta da diecimila euro, con banconote di
grosso taglio.
L'Ilva si è difesa al Riesame sostenendo che quei diecimila euro fossero diretti all'arcivescovo di Taranto per finanziare la processione di Pasqua. Per dimostrarlo, ha anche prodotto il documento con il quale Archinà il 25 marzo chiedeva e il 26 (data dell'incontro con Liberti) riceveva dalle casse dell'azienda diecimila euro «da utilizzare per offerta alla Chiesa di Taranto in occasione della Santa Pasqua».
«Erano per l'arcivescovo di allora, monsignor Benigno Papa. Li abbiamo consegnati al suo assistente, don Marco». Il nucleo operativo della Finanza ha interrogato come testimone don Marco che ha confermato di aver ricevuto quei soldi dall'Ilva. Ecco, secondo la Finanza e secondo i giudici del Riesame don Marco ricorda male. O meglio, certamente la dazione non può essere avvenuta in quei giorni: il prete è infatti stato molto vago nel collocare temporalmente l'incontro.
Agli atti risulta una telefonata di Archinà con don Marco quel giorno alle 9,16 del mattino in cui prendono appuntamento per le 12,30. Dopo però essere riuscito a parlare con Liberti, l'appuntamento viene fatto saltare. «Non si ritiene plausibile, qualora la somma fosse effettivamente destinata a questi, il modo con il quale Archinà abbia insistito sulla richiesta urgente di approvvigionarsi di banconote di grosso taglio (...) L'appuntamento è stato preso poi il 26 marzo e ciò contrasta con il fatto che Archinà avesse chiesto con urgenza i soldi il 25. Appare anomala la circostanza che Archinà ancora prima di fissare
l'appuntamento con l'arcivescovo e ancora prima di conoscere la sua disponibilità a un incontro si sia munito della provvista».
Non solo. Il cassiere dell'azienda, Francesco Cinieri, ha raccontato che «normalmente i versamenti erano di 5mila euro. Non è mai avvenuto che sia avvenuta un'erogazione per 10mila». Tutti punti che spingono i giudici del Riesame a scrivere che non c'è stata nessuna Santa Pasqua per l'Ilva: «I documenti depositati non offrono alcuna certezza sulla corrispondenza tra la somma contabilizzata in uscita e la sua effettiva destinazione finale».
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